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20 mar
Pasquale Amato _ Storia Globale _ Visualizzazioni: 131

Pasquale Amato – IL MONDO ELLENICO DELLE PÓLEIS - Lez. 1

 Pasquale Amato – IL MONDO ELLENICO DELLE PÓLEIS - Lez. 1
Prima Lezione sul tema "Il Mondo Ellenico delle Pòleis", tenuta nella Sala dell'Archivio di Stato di Reggio Calabria su invito della Direttrice Angela Puleio e organizzata in collaborazione tra lo stesso Archivio e il presente Blog, con la preziosa partecipazione di Docenti e Studenti del Liceo di Scienze Umane -Linguistico-MusicaleT. Gullì, grazie al Dirigente prof. Francesco Praticò. 

    Quando incontriamo i microcosmi delle póleis del Mondo Ellenico, incrociamo i nostri progenitori. Anzi, possiamo dire che entriamo in contatto con i nostri contemporanei di 2700 anni fa. Coloro che, in quell’universo variegato, inventarono di tutto o svilupparono a livelli eccelsi invenzioni altrui: la filosofia, la storia, la geografia, l’economia, l’urbanistica, il teatro e le altre forme d’arte, la medicina, la matematica, la geometria, l’astronomia, ecc.

   E immaginarono e sperimentarono sulla loro pelle, in 156 Costituzioni differenti, le più svariate forme di Stato e di governo, con una serie infinita di variabili, dall’oligarchia alla tirannide e alla democrazia. Questi nostri contemporanei furono i primi a riflettere sulla politica, a descriverla, a commentarla, elaborando varie teorie di scienza politica.

    Il filo conduttore comune di questi molteplici percorsi, anche quelli più antitetici di Atene e di Sparta, fu lo spirito laico della polis e il passaggio che essa rappresentò, come città-stato, dal regno del mito alla sovranità della ragione.

   Un ulteriore dato comune fu l’intenso impegno degli intellettuali nella politica (con l’eccezione di Sparta), la loro partecipazione in prima linea nella vita pubblica della polis in tutto il periodo, sebbene con i primi evidenti segni di frattura manifestatisi verso la fine del V secolo.

    Atene fu la città-stato ellenica che assurse ai massimi splendori, acquisendo un primato non soltanto politico ed economico bensì, specie nella fase aurea della leadership di Pericle (462/429 a. C.), anche culturale e morale.

    Sparta rappresentò l’antitesi di Atene. Fu sede di un sistema politico oligarchico-autoritario fondato sulla concentrazione di tutti i poteri (politico, economico e sociale) nella ristretta cerchia di un’oligarchia aristocratica militare e si caratterizzò come polis/caserma. Fu quindi l’unica polis che non visse la fase esaltante dell’eccezionale fioritura culturale e artistica delle pòleis in cui rifulsero Atene e le città-Stato dell’Occidente Ellenico (di Magna Grecia e Sicilia).

     Le città-Stato svolsero comunque tutte un ruolo importante all'interno dell’universo dei microcosmi delle póleis. Un universo che dalla penisola ellenica e dalle Isole dell'Egeo si estese dapprima verso l'Asia Minore (odierna Anatolia, nella zona costiera  sul Mare Egeo), in una seconda fase verso le coste del Mar Nero  e poi si rivolse a Occidente, verso le sponde  dell'Italia e della Sicilia. Concluse infine il suo percorso con le fondazioni di nuove pòleis lungo le coste occitaniche e iberiche, tra cui Nicaia (Nizza), Massalia (Marsiglia, la più importante, alla foce del fiume Rodano), Emporion (Barcellona) fino alle soglie dello Stretto di Gibilterra con Máinake (presso l’odierna Málaga).

   La città-stato era già diffusa nell’area mediterranea, soprattutto nella civiltà fenicia, in quella etrusca e nei regni micenei, quelli dell’epopea della Guerra di Troia. Ma fu nel mondo ellenico classico che essa assunse connotati originali poggiandosi, pur nell’eccezionale varietà di esperienze, su alcuni tratti distintivi comuni:

  1. a) la limitatezza del territorio e della popolazione. Tranne qualche eccezione (Siracusa e Agrigento, Crotone nei confronti di Sibari, Sparta in età arcaica con la conquista della Messenia) l’espansione territoriale non era considerata tra gli obiettivi principali di una polis. Anche quando si batteva il nemico in guerra si preferivano esercitare forme varie di egemonia piuttosto che allargare il territorio statale;

  2. b) l’autosufficienza economica. Era d’importanza vitale che la polis fosse in grado di non dipendere da altri Stati per la sua economia. L’ invenzione della moneta nel VII sec. a. C accelerò il processo di sviluppo mercantile, creò un nuovo tipo di ricchezza, fece emergere una nuova classe di ricchi con ripercussioni sui tradizionali equilibri sociali e quindi politici. La sola Sparta non accolse l’innovazione, in coerenza con la sua visione del mondo chiusa e immobilista;

  3. c) la polis era una comunità esclusiva. Era formata dai “politai”, i cittadini – uomini adulti liberi provvisti dei diritti politici in quanto discendenti dai ghenos (le famiglie) che avevano fondato lo Stato. La condizione di cittadino non era ammessa per le donne, gli stranieri e gli schiavi;

  4. d) la polis era l’unica fonte della legge. Le istituzioni della città-stato – specie dal VI secolo, in seguito alle pressioni dei ceti emergenti mercantili e artigianali – erano le uniche abilitate a emanare leggi valide per tutti i cittadini, ricchi e poveri. Gli uni e gli altri cominciarono ad organizzarsi in due partiti, quello dei “pochi” e quello dei “molti”. Non in tutte le circostanze riuscirono a trovare l’accordo per il governo della città. Emersero così due figure che risolsero le situazioni incancrenite da conflitti politico-sociali divenuti insanabili: i legislatori, laddove si trovò una personalità prestigiosa che fosse in grado di garantire entrambe le parti; i tiranni, aristocratici che scelsero di schierarsi dalla parte dei ceti emergenti conquistando i pieni poteri e realizzando una politica di maggiore coinvolgimento di quei ceti nella conduzione della vita comunitaria;

  5. e) il primato della polis era totale. Era fondato sull’esaltazione del legame comunitario. L’autorità della polis implicava ogni aspetto della vita sociale e politica.

  6. f) la “libertà” della polis era il “bene comune supremo”.

     Il concetto di libertà era nettamente differente da quello affermatosi in età moderna e contemporanea dall’Habeas corpus dell’Inghilterra alle Dichiarazioni dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino della Rivoluzione d’Indipendenza statunitense e della Rivoluzione Francese.

     Viceversa nella polis la libertà era intesa innanzitutto come indipendenza della propria città-Stato. Prevaleva quindi la libertà della comunità rispetto ad altre entità. Questa priorità era evidenziata dalla coniazione di monete anche da parte delle più piccole città- stato.

     Unica eccezione fu la già citata Sparta, che continuò l’uso del baratto in natura o tramite pezzi di metallo a peso. Con un obiettivo razionalmente ineccepibile: impedire la crescita economica, con logiche ripercussioni sociali e politiche, dei perieci, liberi senza diritti politici a cui erano state demandate le attività agricole, artigianali e commerciali cui i cittadini-guerrieri spartani non potevano dedicarsi. Erano assorbiti difatti dall’addestramento militare permanente. I perieci dovevano provvedere alle esigenze della sola popolazione spartana e con l’adozione della moneta avrebbero potuto avvantaggiarsene con evidenti conseguenze di squilibrio economico e sociali che sarebbero prima o poi sfociate nella pretesa di maggiori spazi o diritti politici.

     Questi tratti distintivi comuni delle póleis fanno a pugni con una delle più grandi topiche della storiografia: la cosiddetta “colonizzazione” greca, termine infelice e deviante utilizzato nel Quattrocento dall’umanista Lorenzo Valla, legato alla storia di Roma, che utilizzò i termini “colonizzazione” e “colonie”, generando una confusione concettuale. I protagonisti dell’espansione avevano sempre parlato di "apoikìa", di “coloro che andavano fuori”, quindi di una forma di emigrazione che non era assolutamente l’assalto con le truppe o le flotte armate per conquistare nuovi territori. L’utilizzo della parola “colonizzazione” ha equiparato la diffusione delle città-stato elleniche alle conquiste militari di Alessandro Magno e di Roma e di altri Imperi della storia e a quelle dei grandi Stati europei nelle epoche moderna e contemporanea. 

  Si trattò viceversa di movimenti migratori di origine economica o di persone che andavano via in seguito a contrasti politici interni alla propria polis o a guerre. Le cause furono molteplici ma con un elemento che le accomunò quasi tutte: non si trattò di spedizioni militari programmate e guidate dagli Stati per conquistare nuovi territori. 

   In tal senso fu emblematico il caso delle numerose spedizioni di cui furono protagonisti durante l’ottavo Secolo aC. i calcidesi provenienti dalla piccola polis Calcide (in greco antico Chalkís) nell'isola di Eubea, a Nord dell’Attica. La causa principale dell’emigrazione euboica fu una tremenda carestia che durante quel periodo investì l’isola. Infatti Calcide, nonostante le sue piccole dimensioni, fu la polis che fondò più città-stato in Italia meridionale e in Sicilia, partendo dalla prima, Pitecusa nell’isola di Ischia nel 765 cui seguì Cuma. Si susseguirono poi le fondazioni di varie città della costa orientale della Sicilia, come Naxos, Catania, Lentini, Zancle (Messina) e Reghion (Reggio) sulla sponda opposta dello Stretto.

    Reggio, l’antica Reghion, fu la prima polis fondata nelle Calabrie nel 730 aC con una caratteristica unica. I popoli fondatori furono in questo caso due: i Calcidesi e un esiguo nucleo di esuli Messeni, che fuggivano dalla prima guerra messenica con Sparta e si erano aggregati alla spedizione durante la sosta presso il Tempio di Delfi.

    In sostanza, la piccola città euboica fondò più città-stato di Atene, la polis più ricca del mondo ellenico, per uno dei motivi più dirompenti nella storia delle migrazioni di tutti i tempi: quello economico. Da sempre, allora come oggi, si emigra per motivi economici o in seguito a guerre civili o con nemici esterni. Se ad Atene si stava bene perché si sarebbe dovuto partire? Atene viceversa esercitò una forte attrazione divenendo nel V Secolo la città-mondo. Chiunque vivesse in una delle tante città-stato elleniche sparse tra le coste dei due Mari e avesse aspirazioni di successo in una qualsiasi attività sognava come meta massima Atene. Ogni epoca ha conosciuto città che sono assurte ad un ruolo simile sino all’attuale città-mondo New York.

     Partendo da tali chiarimenti è da considerare come fuorviante la tesi che la fondazione di Zancle nel 734 e di Reggio nel 730 fossero connesse ad un piano imperiale dei calcidesi per conquistare il controllo dei traffici nello Stretto di Scilla e Cariddi. Permanevano certamente i rapporti di carattere linguistico, culturale, amicale, parentale con la città di origine degli emigrati che mi hanno fatto ipotizzare una ragione molto più vicina al contesto in cui si realizzò l’espansione ellenica.

     I calcidesi di Zancle avvertirono, tramite i marinai delle navi commerciali,  i loro amici e parenti che sulla sponda opposta dello Stretto vi era una località dove già esisteva un villaggio degli Itali, con insenatura naturale adatta per un buon approdo commerciale. Si riferivano al promontorio di Calamizzi, che formava un Porto naturale (perso nel 1562 in seguito allo sprofondamento dello stesso promontorio per un bradisismo). Ne scaturì l’idea di una nuova spedizione che portò alla fondazione della polis Reghion. Durante la sosta presso il Tempio di Delfi, si unì alla spedizione un gruppo di esuli provenienti dalla Messenia dove era in corso l’aggressione militare degli spartani.

    Nacque così l’unica polis fondata da due popoli: emigranti di Calcide (componente maggioritaria) ed esuli politici messeni. Questa matrice disomogenea generò una città che s’è caratterizzata nel corso della sua lunga storia per una vivace dialettica interna, l’unica che abbia avuto una Dea e un Dio Patroni (invece di un solo Patrono come tutte le altre), l’unica che abbia avuto un tiranno di una stirpe diversa da quella maggioritaria (il messeno Anassilao che conquistò la città sorella Zancle imponendole un nome che si riferiva alla sua gente e che si è poi consolidato in Messina).

     Una città che si è rivelata una delle più difficili da governare ma anche una delle più difficili da sottomettere, tanto da aver interrotto soltanto per due volte le prerogative di entità con ampia autonomia dai tempi dei Romani a quelli moderni. Una città che, proprio grazie a questo DNA della sua fondazione, è stata sempre tanto instabile sul versante politico quanto molto vivace e creativa nel campo della cultura e delle arti.

  Per le stesse ragioni, quando si parla di Grecia e di greci riferendosi a quel periodo storico, è bene precisare che la prima è da intendere come mondo ellenico delle pòleis – ciascuna col suo piccolo territorio indipendente, al massimo legata con altre da una symmakìa (alleanza) in cui una polis egemone esercitava una maggiore influenza – ed il secondo come l’insieme dei cittadini di tutte le singole pòleis collocate nell’intera area da Màinake (presso Màlaga) a Tanais, alla foce del fiume Don nel Mar Nero. Questo insieme di realtà differenti si riferiva a valori e tratti comuni nell’organizzazione sociale, civile e politica.

   I protagonisti delle migrazioni elleniche portavano con sé le riproduzioni della propria Dea Patrona (o Dio Patrono) cui avrebbero dedicato il Tempio nell’Acropoli. Ciò spiega le ragioni remote (poi occultate con l’avvento del Cristianesimo) dell’anomalia di Reghion rispetto alle altre pòleis. É l’unica che ha non un solo Patrono ma due: San Giorgio e la Madonna della Consolazione. Una peculiarità che trae origine dalla memoria di lunga durata di due popoli diversi che i reggini si portano dentro dalla fondazione della loro polis.

    Il dato che invece accomunò tutte le nuove comunità  fu l’indipendenza politica dalla città d’origine. La miriade di città-stato indipendenti – che stringevano tra loro alleanze come quella tra Atene e Reggio del 433 aC  - fu il dato più caratteristico del processo migratorio ellenico. L’Ecista (capo della spedizione) non fu mai un Cristoforo Colombo finanziato nel 1492 da uno Stato per un progetto di espansione o un generale Hernán Cortés,  sbarcato in Messico nel 1519 con l’obiettivo di assoggettare un nuovo territorio per conto .

  Ne conseguì  la straordinaria fioritura in tutti i campi delle pòleis, con ampie similitudini rispetto a quello delle piccole realtà statuali dell'Italia rinascimentale. La competizione continua tra le città-stato elleniche gettò le basi della civiltà europea. Lo stesso nome Europa viene dalla fanciulla di nome Europa, figlia di Agenore Re dei fenici, rapita da Zeus trasformatosi in toro e portata nell'isola di Creta. Dalla  relazione nacquero tre figli tra cui il primogenito fu il Gran Re Minosse. 

   Ma il mondo ellenico, oltre a dare il nome, costituì la linfa vitale del continente in tutti i settori, in tutti i campi della cultura e della scienza. Erodoto di Alicarnasso fu il padre della storia; Ippodamo di Mileto fu il padre dell'urbanistica (per tanti secoli dimenticato e poi rilanciato nel Settecento, Secolo dei Lumi); gli ateniesi Eschilo, Sofocle, Euripide e Aristofane svilupparono l’arte del Teatro; le città-Stato dell’Asia Minore furono le culle delle prime Scuole di Filosofia; l’ateniese Fidia fu uno degli artisti che portarono al massimo livello l’arte della scultura; la Ceramica Ateniese e quella Calcidese, sua concorrente si diffusero sino al Mar Baltico. Questo mondo, pur non essendo mai stato una grande entità statuale ma composto da tante piccole realtà indipendenti e in concorrenza tra loro, ebbe quindi un ruolo fondamentale nella nascita dell'Europa.

  Una volta arrivati sulle nostre coste gli Elleni non si trovarono davanti un vuoto. Basta visitare lo splendido Museo di Reggio per rendersi conto in maniera netta che, prima dell'arrivo degli immigrati ellenici, c'erano già delle forme d’arte e di organizzazione sociale, economica e politica. Le culture autoctone si incontrarono con il patrimonio di conoscenze delle póleis. Ne scaturì un fecondo processo di arricchimento con la creazione di tratti nuovi che superarono entrambe le realtà originarie.  Si concretizzò un’efficace contaminazione che ha fatto parlare Giovanni Pugliese Carratelli di “Greci  in Occidente” (titolo della grande Mostra di Palazzo Grassi a Venezia nel 1996).

  Le póleis calabresi della Magna Grecia svolsero in questa commistione un ruolo di cerniera così importante da meritare la definizione, attribuita a Pitagora di Crotone, di “Megále Hellás" divenuto con l’arrivo dei Romani “Magna Graecia”. Le prime a essere fondate furono Reggio nel 730 a.C., Sibari (720 a.C.), Crotone (710 a.C.) e Locri (intorno al 670 a.C.). Poi vennero le altre, fondate dalle stesse prime città: da parte di Locri di Medma (Rosarno) e di Hipponion (Vibo Valentia), Kaulon (Monasterace) da Crotone. Da Zancle vennero i fondatori di Metauros (Gioia Tauro).

  Reghion si distinse soprattutto nelle arti e nella letteratura. Non fu  un caso che fosse la sede della più importante bottega di scultura del mondo occidentale greco: la bottega di Clearco di Reggio, di cui fu massimo esponente Pitagora di Reggio. La presenza di questo artista ha fatto ipotizzare, con chiare motivazioni scientifiche connesse alle testimonianze di scrittori greci e romani, che Pitagora di Reggio possa essere stato il probabile autore di uno dei due Bronzi di Riace, oltre che dello stupendo ritratto del filosofo di Porticello (il primo ritratto umano in bronzo dell’arte ellenica del V secolo). Si tratta di un’ipotesi avvalorata dalle caratteristiche delle statue realizzate da Pitagora che Plinio il Vecchio descrisse minuziosamente: Pitagora Reggino “per primo mise in risalto con maggiore accuratezza i tendini, le vene e la capigliatura”. E Diogene Laerzio scrisse che “per primo ricercò il ritmo e la simmetria”. 

  Queste due preziose testimonianze riferite allo stile e all’arte dello scultore reggino ebbero come fonte principale lo scrittore e critico d’arte del III Sec. aC  Senócrate di Atene. Questi considerò Pitagora di Reggio come il più importante artista dei Greci d’Occidente e lo inserì nel gruppo dei cinque massimi scultori ellenici, assieme a Fidia, Policleto, Mirone e Lisippo. Il fatto che sia stata trovata nei Bronzi di Riace la terra di Argo non pregiudica l’ipotesi su Pitagora reggino come autore. Quando si trattava di opere di grandi dimensioni, era l’autore che si trasferiva nella città del committente per evitare i rischi di un’incerta navigazione.

  La ceramica calcidese prodotta a Reggio fu la concorrente più importante della ceramica ateniese nell’intero composito universo ellenico. Reggio inoltre diede i natali al poeta lirico Ibico, uno dei più rilevanti del mondo ellenico, e a Teagéne,  il primo critico letterario del mondo, autore della prima edizione critica dell’Iliade e dell'Odissea. Il suo ruolo centrale connesso ai due capolavori letterari ha rafforzato l’ipotesi del professore Franco Mosino, insigne grecista, che l'autore dell'Odissea conoscesse bene i territori descritti nel poema e che potesse essere il poeta reggino di nome Appa. Questa tesi si è scontrata con millenni di consolidamento accademico dell’attribuzione a Omero dei due capolavori. Pur nell’unanime riconoscimento della profonda diversità tra le due opere, la tesi di Mosino, suggestiva e non priva di logica e di supporti documentali, ha dovuto fare i conti con una tradizione radicata. Essa ha comunque gettato un sasso nello stagno ed ha aperto un varco destinato a produrre effetti di lungo periodo tra gli studiosi.

  Reggio fu sede altresì dell'unica scuola di storici della Magna Grecia. Non ci furono, difatti, storici nelle altre pòleis dell'Italia meridionale: gli unici storici italioti furono reggini, influenzati dalla vicina prestigiosa scuola degli storici siciliani. Ippi di Reggio, autore tra l’altro della prima Storia della Sicilia in cinque volumi (molto apprezzata, ma andata perduta), fu lo storico che per primo analizzò e riportò dati e informazioni sull'Occidente Ellenico.

  Le intense relazioni umane, culturali e commerciali con le città fondate dai calcidesi nella sponda isolana del mitico Stretto di Scilla e Cariddi (la dirimpettaia Messina, Naxos, Catania e Lentini cui la legò anche il Trattato con Atene) furono all’origine non soltanto della comune lingua jonica ma anche della Costituzione di Reggio, per cui i reggini si rivolsero come legislatore a Caronda di Catania, già autore della costituzione della sua Città. 

  Accenno infine a un contributo ulteriore di rilievo dato da Reghion alla storia: il regalo alla penisola del nome “Italia”. Narrano gli storici antichi che la città, come quasi tutte le altre della migrazione ellenica, venne fondata su un insediamento molto più antico che alcune leggende popolari avevano attribuito ad Aschenez - pronipote di Noé - e altre a Giocasto figlio del Dio Eolo. S'era poi formato - nei secoli anteriori allo sbarco dei greci - un agglomerato più ampio col nome di Pallantion, abitato in epoche diverse da popoli appartenenti alle stirpi degli Ausoni, degli Enotri e infine degli Itali.

  Questi ultimi erano un ramo dei Siculi che non avevano seguito la maggioranza del loro popolo nel passaggio alla dirimpettaia Sicilia (cui avrebbero dato il nome). Il piccolo nucleo rimasto al di quà dello Stretto era stato governato da un Re-Patriarca che con la sua saggezza e generosità aveva conquistato i cuori dei suoi sudditi, entrando nella leggenda popolare e nel mito come Re Italo. Alla sua morte i sudditi avevano deciso di assumere il nome di Itali.

  E col tempo il territorio della punta dello stivale prospicente lo Stretto aveva preso il nome di Italia. Secondo altre fonti quel nome era viceversa legato a un episodio della Fatica di Eracle contro Gerione.

   Comunque, ciò che conta è un dato indiscutibile: l’arrivo degli Elleni non fece scomparire quel nome. Anzi esso si espanse, offrendo una testimonianza illuminante della straordinaria mescolanza di culture, tradizioni e riti religiosi tra popolazioni autoctone e nuovi arrivati, realizzatasi con l’arrivo dei greci. D’altronde si trattava di emigranti e di esuli in cerca di nuovi spazi e non di invasori.

   Il nome Italia si consolidò talmente nell’uso comune da definire gli abitanti delle città-Stato elleniche del Mezzogiorno dapprima come Italiotes e poi - con l’arrivo dei Romani - Italici. E pian piano avrebbe risalito la penisola per definirla, dopo la conquista della Gallia Cisalpina da parte di Giulio Cesare, nella sua interezza “Italia”..

 


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