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07 apr
Pasquale Amato _ Storia Globale _ Visualizzazioni: 67222

Pasquale Amato - Il PREZIOSO APPORTO DEL MONDO ELLENICO ALLA CULTURA DEL MONDO

Pasquale Amato - Il  PREZIOSO APPORTO DEL MONDO ELLENICO ALLA CULTURA DEL MONDO

INTRODUZIONE STORICA DI PASQUALE AMATO NEL VOLUME "CINI PU STÒ KOSMO MILUNE GREKO. MINORANZE ELLENOFONE NEL MONDO" (ed. Kurumuny). Il libro bilingue, Italiano-Neogreco, è curato dalla prof.ssa Eufemia Attanasi, si avvale dell'introduzione storica del Prof. Pasquale Amato e comprende i contributi di intellettuali di alcune comunità elleniche del Ponto (Georgia, Bulgaria, Ucraina) e italogreche (Grecìa Salentina, Bovesia, Messina). E' stato presentato, con larga partecipazione, il 5 aprile nel Palazzo Comunale di Soleto (Lecce) e il 6 aprile nel Liceo delle Scienze Umane di Maglie, sempre in provincia di Lecce*.

*Avrei dovuto partecipare a entrambi gli Eventi ma il giorno della partenza un forte attacco di cervicale mi ha impedito di partire per questo primo incontro con la Grecìa Salentina per presentare un volume che è in totale sintonia con la mission del Premio Nosside di apertura a tutte le lingue del mondo. Nosside di cui avrei presentato la 39^ edizione dopo i primi felicissimi eventi dell'Avana (Cuba) il 29 febbraio e di Lentini (Siracusa). Reupero in parte l'assenza forzata con la pubblicazione della mia introduzione storica generale del volume.

"Intraprendere un viaggio attraverso gli Ellenofoni nel mondo è quanto mai significativo e opportuno. La presenza diffusa di comunità ellenofone tra Mediterraneo e Mar Nero rappresenta una testimonianza viva di quello straordinario esodo migratorio che dalle isole dell’Egeo e dai territori continentali limitrofi si diresse dapprima verso Oriente sulle coste dell’Asia Minore e del Mar Nero e poi verso Occidente tra l’VIII e il VII secolo aC.

Un esodo che portò alla fondazione di una miriade di città-stato da Tanais sulla foce del Don a Mainake vicino Màlaga. Gli allievi di Aristotele riuscirono a raccogliere 156 Costituzioni di pòleis indipendenti., che sono andate tutte perdute esclusa quella di Atene. Un movimento che grazie ad una costante e positiva competizione tra le città-stato, ciascuna gelosa della sua indipendenza e al massimo disposta ad alleanze senza rinunciare alla propria identità, ha generato la civiltà europea regalando anche il nome al sub-continente.

 L’affermazione del processo di globalizzazione dell’economia, di pari passo con la rivoluzione informatica, ha generato una società del pensiero unico ma anche della lingua unica. Motivo per cui si è verificata una veloce marginalizzazione che ha toccato per prime le fasce più deboli, con il conseguente fenomeno dell’isolamento delle comunità che da sempre avevano vissuto utilizzando lingue e dialetti in aree ristrette. Ne è conseguita l’estinzione graduale di tante lingue, in primo luogo di quelle non scritte.

Delle crescenti preoccupazioni della perdita definitiva di questo patrimonio storico e culturale dell’umanità si è fatta interprete l’Unesco, che ha dato vita a diverse iniziative per fermare questo fenomeno che ha gli stessi effetti devastanti del disastro ambientale. Secondo una ricerca condotta da un’equipe di studiosi sotto l’egida dell’UNESCO, ogni 14 giorni muore nel mondo una lingua. Verso la metà di questo secolo la metà delle 7.000 lingue parlate oggi potrebbero scomparire.

Irina Bokova, Direttore Generale dell’UNESCO, ha ben sintetizzato questo fenomeno che sta avvenendo nell’intero Pianeta: “Le lingue madri, in un approccio multilinguistico, sono fattori essenziali per la qualità dell’istruzione, che è alla base dell’emancipazione di donne e uomini e delle società in cui vivono… Ogni aspirazione ad una vita migliore, ogni aspirazione allo sviluppo si esprime in una lingua, con parole precise per farla vivere e trasmetterla. Le lingue sono ciò che noi siamo, proteggerle significa proteggere noi stessi”.

Le lingue sono il prodotto di millenni di osservazione e di organizzazione delle informazioni. Ogni lingua ha infinite possibilità espressive e ha un bagaglio di conoscenze straordinarie. Essendo la maggioranza delle lingue non scritte, per ogni lingua che si estingue si cancellano tutte le idee, i pensieri e le tecnologie che contengono. Pertanto ogni lingua estinta non rappresenta soltanto una perdita per le persone che la parlavano. Diviene una privazione per l’intera umanità.  Perché si perde per sempre una parte del più grande giacimento di conoscenza umana mai esistito.

Salvaguardare la sopravvivenza delle minoranze di lingua ellenica è ancora più basilare perché esse rappresentano le eredi di quel grande movimento culturale che generò un mutamento epocale che modificò il corso della storia.

Quando incontriamo i microcosmi delle pòleis del Mondo Ellenico, incrociamo i nostri progenitori. Anzi, possiamo dire che entriamo in contatto con i nostri contemporanei di 2700 anni fa. Coloro che, in quell’universo variegato, hanno inventato di tutto, hanno immaginato e sperimentato sulla loro pelle, in 156 Costituzioni diverse, le più svariate forme di governo, le più diverse forme di Stato, con una serie infinita di variabili, dall’oligarchia alla tirannide e alla democrazia. Questi nostri contemporanei sono stati i primi a riflettere sulla politica, a osservarla, a descriverla, a commentarla, elaborando varie teorie di scienza politica.

    Il filo conduttore comune di tutte queste esperienze, anche quelle che risultano agli occhi della storia più antitetiche - mi riferisco in particolare alle esperienze di Atene e di Sparta, che sono state le due sperimentazioni agli antipodi di questa straordinaria molteplicità - fu lo spirito laico della polis e il passaggio che essa rappresentò, come città-stato, dal regno del mito alla sovranità della ragione.

    Questo filo conduttore ha avuto in Atene la città-stato che assurse ai massimi splendori, acquisendo un primato non soltanto politico ed economico, bensì culturale e morale, di cui toccò  l’apice durante la leadership di Pericle,  dal 462 al 429 a.C. Si può affermare comunque che tutte le città-Stato hanno svolto un ruolo importante all'interno dell’universo dei microcosmi delle poleis. Un universo che dalla penisola ellenica e dalle Isole dell'Egeo si è esteso dapprima verso l'Asia Minore (odierna Anatolia, nella zona costiera  sul Mare Egeo) e poi si è rivolto a Occidente, verso le sponde  dell'Italia e della Sicilia. Ha infine continuato questo percorso con le fondazioni di Nicea (Nizza), Massalia (Marsiglia), Emporion (Barcellona) fino alle soglie dello Stretto di Gibilterra con Màinake (presso l’odierna Màlaga).

 Utilizzo spesso il termine “ellenico”, perché “Greci” è un nome romano, come romano è un termine che ci perseguita da cinque secoli: Colonizzazione. È stato adoperato durante il Rinascimento per la prima volta da Lorenzo Valla, latinista legato alla storia di Roma che ha parlato di “colonizzazione” e di “colonie”, generando una confusione concettuale. I protagonisti avevano sempre parlato di ἀποικία (apoikia), di “coloro che andavano fuori”, quindi sostanzialmente di una forma di emigrazione che non era assolutamente l’assalto con le truppe o con le flotte armate per conquistare nuovi territori. L’utilizzo della parola “colonizzazione” ha equiparato la diffusione delle città-stato elleniche alle conquiste militari di Alessandro Magno e di Roma e di altri Imperi della storia e a quelle dei grandi Stati europei nelle epoche moderna e contemporanea.  

Si trattò viceversa di movimenti migratori di origine economica o di persone che andavano via in seguito a contrasti politici interni alla propria polis o a guerre. Le cause furono molteplici ma con un elemento che le accomunò quasi tutte: non si trattò di spedizioni militari programmate e guidate dagli Stati per conquistare nuovi territori.  

Tra i tanti casi possiamo annoverare quello di Reggio, l’antica Reghion, l'unica polis che ebbe come fondatori due popoli: i calcidesi che venivano dalla piccola polis Calcide (in greco antico Χαλχίς, Chalkís) nell’isola di Eubea - e un minuscolo nucleo di esuli messeni, che fuggivano dalla prima guerra messenica con Sparta e si erano aggregati alla spedizione durante la sosta presso il Tempio di Delfi.

La causa principale dell’emigrazione euboica fu una tremenda carestia che investì l’isola. Non fu quindi un caso che durante l’Ottavo Secolo aC Calcide fu la polis che fondò più città-stato in Italia meridionale e in Sicilia, partendo dalla prima, Pitecusa nell’isola di Ischia nel 765 cui seguì Cuma. Si susseguirono poi le fondazioni di varie città della costa orientale della Sicilia, come Naxos, Catania, Lentini, Zancle (l’odierna Messina) e Reghion, sulla sponda opposta dello Stretto.

In sostanza, la piccola città euboica fondò più città-stato di Atene, la polis più ricca del mondo ellenico, per uno dei motivi più dirompenti nella storia delle migrazioni di tutti i tempi: quello economico. Da sempre, allora come oggi, si emigra per motivi economici o in seguito a guerre civili o con nemici esterni, carestie. Se ad Atene si stava bene perché si sarebbe dovuto partire? Atene viceversa esercitò una forte attrazione divenendo nel V Secolo aC la città-mondo. Chiunque vivesse in una delle tante città-stato elleniche sparse tra le coste dei due Mari e avesse aspirazioni di successo in una qualsiasi attività sognava come meta massima Atene. Ogni epoca ha conosciuto città che sono assurte ad un ruolo simile sino all’attuale città-mondo New York.

 Partendo da tali chiarimenti è da considerare come fuorviante la tesi che la fondazione di Zancle nel 734 e di Reggio nel 730 fossero connesse ad un piano imperiale dei calcidesi per conquistare il controllo dei traffici dello Stretto di Scilla e Cariddi. Permanevano certamente i rapporti di carattere linguistico, culturale, amicale, parentale con la città da cui venivano gli emigrati che mi hanno fatto ipotizzare una ragione molto più vicina al contesto in cui si realizzò l’espansione ellenica.

I calcidesi di Zancle avvertirono, tramite i marinai delle navi commerciali,  i loro amici e parenti che sulla sponda opposta dello Stretto vi era una località con insenatura naturale adatta ad un nuovo insediamento. Da questa informazione partì l’idea di una nuova spedizione che di lì a poco portò alla fondazione della polis Reghion. I protagonisti della nuova impresa portarono con sé, come avvenne per le altre fondazioni, le riproduzioni della propria Dea Patrona (o Dio Patrono) cui avrebbero dedicato il Tempio nell’Acropoli.

Ciò spiegherebbe le motivazioni remote (poi incorporate dall’avvento del Cristianesimo) dell’anomalia di Reghion rispetto alle altre città di origine ellenica: è l’unica che ha non un solo Patrono ma due: San Giorgio e la Madonna della Consolazione. Questa peculiarità ha una sola possibile origine: la fondazione della polis da parte di due popoli diversi.

Il dato che invece le accomunava tutte era l’indipendenza politica dalla città d’origine. L’Ecista (capo della spedizione) non fu mai un Cristoforo Colombo finanziato da uno Stato o un generale capo di una spedizione militare, inviato per assoggettare un nuovo territorio per conto di uno Stato con aspirazioni imperiali. Confusione che purtroppo è stata generata dall’uso improprio di termini come Colonizzazione e colonie.

La miriade di città-stato indipendenti – che al massimo si collegavano tra loro firmando trattati di alleanza come quello tra Atene, Reggio e Lentini del 432 aC  - è il dato più caratteristico di questo periodo storico. Ne conseguì  la straordinaria fioritura di uno sviluppo in tutti i campi delle pòleis, con ampie similitudini rispetto a quello delle piccole realtà statuali dell'Italia rinascimentale. Come lo sono altrettanto gli esiti. La competizione continua tra le città-stato fu all'origine di quella civiltà ellenica che ha gettato le basi della civiltà europea. Lo stesso nome Europa viene dalla bellissima giovane di nome Europa, figlia di Agenore Re dei fenici, rapita da Zeus e condotta nell’Isola di Creta.

Possiamo dire che il mondo ellenico, oltre a dare il nome, ha dato la linfa vitale al continente in tutti i settori, in tutti i campi della cultura e della scienza: ha annoverato Erodoto di Alicarnasso come padre della storia, Ippodamo di Mileto come padre dell'urbanistica (per tanti secoli dimenticato e poi rilanciato nel Secolo dei Lumi (il ‘700). Ha inventato la filosofia e il teatro.

Possiamo affermare quindi, sotto tutti i punti di vista, che questo mondo, fatto di tante piccole realtà indipendenti, ha avuto un ruolo fondamentale nella nascita dell'Europa, e che questa iniziativa è in sintonia con la grande storia del mondo ellenico.

Una volta arrivati sulle nostre coste gli Elleni si incontrarono con insediamenti e culture già esistenti. Basta visitare il Museo di Reggio per rendersi conto in maniera inequivocabile che, prima ancora dell'arrivo degli Emigrati ellenici, c'erano già delle forme di arte, delle forme di organizzazione sociale, economica e politica che compirono  un salto di qualità nell'incontro con i nuovi arrivati. Si trattò, appunto, di un incontro, di una commistione che ha fatto parlare uno studioso insigne come Pugliese Carratelli, di “Greci d'Occidente” (titolo dato anche alla mostra organizzata a Palazzo Grassi a Venezia nel 1996). Le culture esistenti si incontrarono con il patrimonio di conoscenze delle poleis. Ne scaturì un ulteriore arricchimento con la creazione di tratti nuovi che non erano più quelle degli autoctoni né quelle dei nuovi arrivati.  

Le pòleis calabresi della Magna Grecia svolsero in questa commistione un ruolo così importante da meritare la definizione, attribuita a Pitagora di Crotone, di “Megàle Hellàs”, più conosciuto nella versione latina di Magna Grecia. Le prime a essere fondate furono Reggio (730 a.C.), Sibari (720 a.C.), Crotone (710 a.C.) e Locri (intorno al 670 a.C.). Poi vennero le altre, fondate dalle stesse prime città: da parte di Locri di Medma (Rosarno) e di Hipponion (Vibo Valenta), mentre Zancle fondò Metauros (Gioia Tauro). 

Reghion si distinse soprattutto nelle arti e nella letteratura. Fu la sede della più importante bottega di scultura del mondo occidentale greco, la bottega di scultura di Clearco di Reggio, di cui fu il massimo esponente Pitagora di Reggio. La presenza di questo artista ha fatto ipotizzare, con chiare motivazioni scientifiche connesse alle testimonianze di scrittori greci e romani, che Pitagora di Reggio possa essere stato il più probabile autore dei due Bronzi di Riace, oltre che dello stupendo ritratto del filosofo di Porticello (il primo ritratto umano della storia). Si tratta di un’ipotesi avvalorata dalle caratteristiche delle statue realizzate da Pitagora che Plinio il Vecchio descrisse minuziosamente: Pitagora Reggino “per primo mise in risalto con maggiore accuratezza i tendini, le vene e la capigliatura”. E Diogene Laerzio scrisse che “per primo ricercò il ritmo e la simmetria”.  Queste due preziose testimonianze riferite allo stile e all’arte dello scultore reggino ebbero come fonte principale lo scrittore e critico d’arte del III Sec. aC  Senocrate di Atene. Questi considerò Pitagora di Reggio come il più importante artista dei Greci d’Occidente e lo inserì nel gruppo dei cinque massimi scultori ellenici, assieme a Fidia, Policleto, Mirone e Lisippo.

Il fatto che sia stata trovata nei Bronzi di Riace la terra di Argo non è indicativo. Sappiamo bene che, quando si trattava di opere di grandi dimensioni, lo scultore si trasferiva nella città del committente per non correre il rischio di perderle, considerate le oggettive difficoltà di navigazione. La ceramica calcidese prodotta a Reggio, inoltre, fu la concorrente più importante della ceramica ateniese nell’intero composito universo ellenico.

Reggio diede i natali al poeta lirico Ibico, uno dei più grandi del mondo ellenico, e a Teagéne, il primo critico letterario del mondo, autore della prima edizione critica dell’Iliade e dell'Odissea. Il suo ruolo centrale ha fatto ipotizzare al professore Franco Mosino, insigne grecista, che l'autore dell'Odissea conoscesse bene i territori descritti nel poema e che potesse essere un poeta reggino di nome Appa. Questa tesi si è scontrata con millenni di consolidamento accademico dell’attribuzione a Omero dei due capolavori. Pur nell’unanime riconoscimento della profonda diversità tra le due opere, la tesi di Mosino, seppure suggestiva e non priva di logica, ha dovuto fare i conti con una tradizione radicata. Essa ha comunque gettato un sasso nello stagno ed ha aperto un varco destinato a produrre effetti tra gli studiosi.

Reggio fu sede altresì dell'unica scuola di storici della Magna Grecia. Non ci furono, difatti, storici nelle altre pòleis dell'Italia meridionale: gli unici storici italioti furono reggini, influenzati dalla vicina prestigiosa scuola degli storici siciliani. Le relazioni con le città fondate da calcidesi nella sponda isolana del mitico Stretto di Scilla e Cariddi furono all’origine anche della Costituzione di Reggio, che ebbe come legislatore Caronda di Catania, già autore della costituzione della sua Città.  

Quanto a Crotone, Pitagora – profugo dall’isola di Samo dove era al potere il tiranno Policrate - fece fare un salto di qualità alla filosofia nata nelle Scuole nate nelle pòleis dell'Asia Minore. Allargò l’orizzonte verso molte direzioni e sviluppò in particolare le scienze matematiche e astronomiche. Il precursore di quella che è stata la tesi eliocentrica fu nel III sec. aC il pitagorico Aristarco di Samo. Si fa sempre riferimento a Keplero e a Galilei e quasi mai al loro precursore. Però, già nell'ambito dei pitagorici, circolava la tesi che il sole era al centro e la terra gli girava attorno. I pitagorici giunsero a questa tesi in base al ragionamento. Ci arrivarono attraverso lo studio, l'applicazione empirica, la matematica.

E’ superfluo parlare dell'aspetto che più si conosce di Pitagora: il boom degli Atleti di Crotone nelle Olimpiadi fu l’effetto della preoccupazione pitagorica di coltivare contemporaneamente spirito, mente e corpo. Non fu un caso che il più grande atleta delle Olimpiadi antiche fu Milone di Crotone. Vinse in ben sette Olimpiadi.

Preferisco invece soffermarmi su un aspetto di Pitagora meno conosciuto. Nell’ambito della grande invenzione ellenica della filosofia la Scuola di Pitagora si distinse per alcune peculiarità: fu l’unica che praticò la comunione dei beni  e fu l'unica in cui si superò la diversità di genere. Pitagora accolse uomini e donne alle stesse condizioni. Chiunque aspirasse ad entrare nella Scuola doveva affrontare un test condotto dallo stesso maestro. Egli valutava le qualità intellettuali e le qualità morali e, sulla base di esse, stabiliva chi poteva entrare, a prescindere dal sesso e dalle condizioni sociali. Questo fu uno dei due cardini di considerevole novità all'interno della realtà dell’intero mondo ellenico e dell’intero mondo antico, medievale e moderno sino alle tesi illuministe che costituirono la base di partenza dei primi movimenti femministi. E fu sicuramente una delle ragioni che, assieme alla comunione dei beni da parte di tutti i membri della scuola pitagorica, causarono l’attacco subito da Pitagora anche da parte delle classi ricche esistenti.

Purtroppo si è fatta una grande confusione anche sulla parola “aristocrazia”. Ci si è allontanati dalla tesi originaria di Pitagora secondo la quale nella Scuola entravano gli ἄριστοι (àristoi) - “i migliori” per qualità morali e intellettuali. E si è invece immaginato Pitagora come colui che ha, in un certo senso, dato avvio alla tesi della superiorità dell'aristocrazia. Egli non intendeva l'aristocrazia sul piano della ricchezza, concetto che poi si è affermato. Intendeva l'aristocrazia come un fatto strettamente legato ai migliori, nell’accezione che poi è stata ripresa e ampliata da Platone nell’utopia della sua Repubblica caratterizzata dal governo affidato ai Migliori.

Bisogna fare, quindi, una considerazione sul perché sia avvenuto questo passaggio, questo cambiamento di significato. C'è da ricordare che un certo Cilone, il più ricco cittadino di Crotone, fu bocciato all’esame di ingresso perché Pitagora non riuscì a convincersi della sincerità della sua adesione: percepì che questo signore voleva far parte della Scuola perché essa stava assumendo un’influenza sempre maggiore a Crotone, una vera e propria egemonia culturale. Era pertanto preoccupato di perdere potere, pur essendo il cittadino più ricco della città. Aveva quindi pensato d’inserirsi dentro la scuola per continuare a esercitare il ruolo di primo della classe.

Infatti, mentre Pitagora era impegnato in un viaggio in Egitto per incontrarsi con i suoi amici sacerdoti (da cui aveva imparato molto di aritmetica e geometria) Cilone realizzò la sua rivincita contro l’onta subita da Pitagora. La polis era soprattutto una “comunità della parola” e si possono immaginare i commenti dei crotonesi sulla bocciatura. Organizzò, assieme al leader dei ceti mercantili Ninone, la rivolta e l'assalto dei cittadini di Crotone al Sinedrion, luogo di riunione dei pitagorici, facendo circolare la voce che essi stessero preparando un colpo di stato per imporre una dittatura.

Alcune informazioni su questi aspetti poco conosciuti di Pitagora provengono da uno studioso svizzero di Basilea – Jochann Jacob Bachofen – che nel 1861  pubblicò due voluminosi tomi sul mondo femminile nella storia col significativo titolo “Il matriarcato”, in cui raccolse i risultati degli studi condotti per tutta la sua vita. La pubblicazione non ebbe molto rilievo. Eravamo nella metà dell’Ottocento, nel periodo in cui stavano appena organizzandosi i primi movimenti delle suffragette in Inghilterra. Non piacque quindi molto ai suoi colleghi studiosi quella imponente opera che enucleava ed evidenziava il ruolo della donna nel corso della storia. Bachofen subì l’ostracismo tradotto in assassinio accademico: fu ignorato nelle “note”, nelle recensioni e nelle citazioni. Soltanto nel 1988 un editore sensibile come Einaudi ha avuto il merito di aver recuperato questi due grandi tomi e di averli ripubblicati dopo più di un secolo, nell’unica traduzione in altra lingua (italiano) e di aver fatto conoscere questo aspetto poco noto della realtà che Pitagora aveva creato a Crotone. Aspetto che sicuramente aveva contribuito all’assalto e alla cacciata della sua Scuola e all’attribuzione ad essa della denominazione negativa di Setta.

Colpisce, quando si visita il Museo Archeologico della magna Grecia di Reggio e quelli di Locri o di Medma, l’enorme presenza di oggetti che riguardano le donne: è collegata strettamente al fatto che Locri è stata l'unica società matriarcale tra le pòleis elleniche e che l'eredità, di fatto, nel corso della storia, è stata raccolta da Bagnara, quando Locri si ritirò sulla rupe di Gerace. Noi abbiamo a Bagnara ancora oggi una forte società di stampo matriarcale: sono le donne che decidono, le donne che comandano, le donne che dirigono le famiglie, sia dal punto di vista economico che lavorativo.

Questa continuità dimostra che la storia crea delle situazioni vigorose di sedimentazione che, secondo lo storico Fernand Braudel, possono restare anche secoli nel sottosuolo. Ma al momento opportuno riemergono. Spero di avere dato un contributo a farne riemergere almeno alcune.


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