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29 set
Pasquale Amato _ Storia Globale _ Visualizzazioni: 70104

PASQUALE AMATO - LA CRISI DEI MISSILI A CUBA NELL’OTTOBRE 1962. I 13 GIORNI SULL'ORLO DEL CONFLITTO NUCLEARE*

PASQUALE AMATO - LA CRISI DEI MISSILI A CUBA NELL’OTTOBRE 1962. I 13 GIORNI SULL'ORLO DEL CONFLITTO NUCLEARE*
*Relazione svolta nel Convegno organizzato dall'UNUCI di Reggio Calabria, svoltosi nella Sala Verde dell'Hotel Miramonti di Gambarie d'Aspromonte Domenica 10 agosto 2025 sul tema "GLI EQUILIBRI INTERNAZIONALI IN TEMPI DI PACE E DI GUERRA".
Dal 16 al 28 ottobre 1962 il mondo visse col fiato sospeso sull’orlo dell’abisso, correndo il serio pericolo dell’esplosione di un terzo conflitto mondiale con la tragica prospettiva del disastro dell'arma nucleare che avrebbe distrutto l'umanità e il pianeta Terra.
Non erano certo mancate le crisi e i conflitti in tutti i continenti, nonostante le numerose dichiarazioni di “mai più guerre” dopo la fine della carneficina della Seconda Guerra Mondiale. Tuttavia, mai come in quei 13 giorni si era creata una situazione così vicina allo scoppio di una guerra rispetto alla fine del secondo conflitto mondiale nell’estate del 1945. Conflitto la cui conclusione era stata accelerata dal lancio delle bombe atomiche su due città giapponesi, il 6 agosto su Hiroshima e il 9 su Nagasaki. La distruzione completa delle due città e circa 350.000 vittime avevano alimentato la consapevolezza che un terzo conflitto mondiale contrassegnato dall’arma atomica avrebbe potuto essere fatale per la sopravvivenza della Terra e di una buona parte del genere umano.
A rendere incandescenti quei tredici terribili giorni fu il fatto che si rischiò lo scontro tra i due Stati che dal 1945 avevano rispettivamente capeggiato le due grandi alleanze in cui si era diviso il mondo. Da una parte gli Stati Uniti d’America che avevano assunto la guida del cosiddetto blocco Occidentale dando vita al sistema di difesa della NATO. Dall’altra parte l’Unione Sovietica aveva assunto il comando del cosiddetto Blocco Orientale rispondendo alla NATO con la creazione del Patto di Varsavia.
Sino al 1962 nei conflitti scoppiati in varie parti del pianeta i due Stati leader, che si fronteggiavano in quella che venne definita la “Guerra Fredda”, avevano assicurato a ciascuno dei soggetti in conflitto il loro appoggio, arrivando in alcuni casi (come la Guerra di Corea), ad intervenire al fianco di uno di essi. Ma avevano accuratamente evitato di affrontarsi direttamente, consapevoli che un loro scontro diretto avrebbe trascinato in un vortice inarrestabile tutti gli Stati ad essi collegati e avrebbe segnato l’avvio del terzo disastroso conflitto planetario. 
La crisi dell’ottobre 1962 fu il primo caso dal 1945 in cui si rischiò appunto un loro scontro diretto e quindi lo scatenamento della prima Guerra nucleare.
Per comprendere meglio le ragioni profonde di quella crisi occorre ricorrere al compito principale dello storico, che non è soltanto la ricostruzione dell’evento ma anche quello di comprendere e illustrare le cause vere che lo hanno determinato, tenendo presente il contesto storico in cui esso si è sviluppato.  
 
  1. GLI ANTECEDENTI
Nella più grande isola dei Caraibi il primo gennaio 1959 si era affermata, dopo tre anni di guerriglia, la Rivoluzione guidata da Fidel Castro, rovesciando la dittatura dell’ex-sergente Fulgencio Batista, apertamente appoggiata e finanziata dal Governo statunitense. Castro aveva dato vita a un governo socialista attuando una serie di riforme che avevano liberato l’isola dalla presenza predominante delle imprese statunitensi in tutti i settori della società.
L’egemonia era iniziata quando gli USA - intervenendo negli ultimi tre mesi della Guerra di Indipendenza dalla Spagna del 1895-98 organizzata da José Martì con il coinvolgimento delle Isole  Filippine e di Portorico - si erano di fatto insediati all’Avana riducendo lo stato indipendente nato nel 1902 nelle condizioni di “Repubblica dimezzata”. Seguendo uno schema attuato spesso in America Latina erano costantemente intervenuti nella vita dell’isola e quando erano emersi leaders politici che rivendicavano una maggiore autonomia avevano diretto colpi di stato instaurando al potere Dittatori disposti ad attuare e agevolare i loro interessi.  L’affermazione castrista era stata quindi percepita come un insopportabile affronto all’egemonia esercitata dagli Stati Uniti nell’intera area del Centro e del Sud del continente americano. Una vera e propria provocazione, resa più intollerabile dalla distanza geografica tra Cuba e la Florida.
L’insofferenza era sfociata nell’impresa orchestrata dalla CIA con il concorso dei fuorusciti batistiani rifugiatisi nella vicina Florida: la tentata invasione dell’isola tra il 17 e il 19 aprile 1961. L’operazione era stata progettata dalla presidenza USA di Dwight D. Eisenhower con  vice presidente Richard Nixon e messa in campo dalla CIA. Il tentativo di abbattere il governo rivoluzionario cubano si risolse in un totale fallimento. La leaderspip di Fidel Castro ne uscì rafforzata e il Presidente cubano la esaltò come una grande vittoria della Rivoluzione.
Ma, da acuto analista dello scenario politico internazionale, ne esaminò i risvolti e le prospettive. Se il gigante vicino avesse deciso di attaccare direttamente con la sua superpotenza militare l’isola quanto e come avrebbe potuto resistere? Nel contesto storico della Guerra Fredda non c’era che una via: aderire allo schieramento guidato da Mosca, garantendosi così una protezione di fronte alla probabile voglia di rivincita dopo il disastro di “Baia dei Porci”. Impresse pertanto una svolta alla Rivoluzione politica e sociale trasformando il Partito nazionalista e socialista in Partito Comunista e aderendo allo schieramento internazionale guidato da Mosca.
Da parte sua Kruscev si era trovato di fronte a una chiara provocazione messa in atto dalla Nato. A ridosso dei confini tra la Turchia e il Caucaso erano stati installati alla fine degli Anni ’50 missili statunitensi Jupiter a testata nucleare, in grado di colpire le grandi città russe. Il governo di Mosca, che aveva già intrapreso buoni rapporti commerciali con l’isola dopo la vittoria castrista, aveva quindi accolto ben volentieri la svolta del leader cubano indirizzata a entrare nell’orbita sovietica per assicurarsi un sostegno forte contro un eventuale secondo attacco del potente vicino di casa. Il quale, da parte sua, nello stesso 1962 aveva inasprito il Bloqueo economico e finanziario contro l’isola avviato due anni prima in risposta agli espropri di aziende e altre proprietà di cittadini statunitensi da parte del nuovo governo rivoluzionario insediatosi il 1° gennaio 1959. Cuba in quel momento dipendeva fortemente dall’economia Usa verso la quale esportava e importava 2/3 di tutte le merci che si trovavano sull’isola. Fino all’arrivo di J. F. Kennedy al potere, e sotto la presidenza di Dwight D. Eisenhower (che aveva rotto le relazioni diplomatiche con la Cuba di Castro), cibo e medicine erano state escluse dal blocco economico Usa. La politica di Washington si era inasprita considerevolmente dopo il disastro di Baia dei Porci e il 3 febbraio 1962 Kennedy aveva decretato l’embargo totale del commercio tra Usa e Cuba con ripercussioni pesanti. Non si trattava di un embargo indirizzato alle aziende USA ma a tutte quelle di paesi alleati che volessero commerciare con Cuba, a cui veniva vietato di operare nel territorio degli Stati Uniti.
In sostanza erano maturate le condizioni per un’iniziativa che rispondesse ad entrambe le esigenze. Così ai primi di luglio era stata concordata in gran segreto l’iniziativa di installare missili sovietici a testata nucleare nell’isola. Mosca avrebbe risposto ai missili statunitensi ai confini della Turchia con il Caucaso e L’Avana si sarebbe garantita una solida protezione da un probabile secondo attacco per rovesciare Il governo castrista e piazzare un governo satellite nell’isola.
 
  1. I drammatici tredici giorni
Dopo aver delineato il contesto storico e i fatti pregressi si può passare ai fatti nudi e crudi di quei giorni terribili.
Dopo la scoperta dell’aereo-spia del 14 ottobre la CIA organizzò una serie di voli di ricognizione che confermarono la scoperta. Il Presidente John Kennedy venne informato la mattina del 16 e convocò immediatamente alla Casa Bianca una riunione del Consiglio di Sicurezza Nazionale con i vertici del Pentagono e i suoi ministri e Consiglieri in un’atmosfera elettrizzante. Seguirono altre riunioni accese e frenetiche in cui emersero due linee contrapposte. I falchi, impazienti di dare avvio a un’azione militare immediata, vennero capeggiati dai vertici del Pentagono con in testa il gen. Curtis Le May. Mentre a guidare il gruppo delle colombe furono il fratello del Presidente Robert, Ministro della Giustizia, il ministro della Difesa McNamara e l’Ambasciatore USA all’ONU Adlai Stevenson.
Il 17 e il 18 nuovi voli di U-2 individuarono sei rampe di lancio in zone diverse dell’isola e le riunioni divennero sempre più accese. Le proposte oscillarono fra le tre ipotesi dei falchi (dall’attacco mirato alla distruzione delle rampe all’eliminazione sia delle basi missilistiche che di tutti gli obiettivi strategici cubani sino alla proposta più drastica di invasione dell’isola con rovesciamento di Castro e l’imposizione di un governo satellite) e le ipotesi delle colombe, improntate su trattative diplomatiche segrete con Mosca.
La tensione raggiunse il suo culmine il 20 nello scontro rovente tra i capi militari e il Presidente. Il capo dello stato maggiore congiunto, il generale Maxwell Taylor, presentò un piano dettagliato di invasione dell’isola per terra, per mare e per cielo con attacco e occupazione del porto di Mariel e l’impiego di 100.000 uomini. A domanda specifica del Presidente il capo del Pentagono rispose che l’effetto sorpresa avrebbe impedito la reazione sovietica. Il Presidente replicò duramente: “Loro, come noi a parti invertite, non potrebbero lasciar passare un attacco di queste proporzioni senza fare nulla. Potrebbero attaccare in qualsiasi altra parte del mondo. Potrebbero cogliere l’occasione per attaccare e inglobare nella Germania Orientale Berlino Ovest. Poi noi reagiremmo da qualche altra parte in una escalation senza tregua. Lei non mi sta proponendo una soluzione del caso ma l’avvio inesorabile del Terzo conflitto Mondiale con l’incastro devastante delle armi nucleari”. 
Da quelle convulse riunioni venne fuori comunque la scelta di un discorso televisivo a reti unificate del Presidente che avrebbe rivelato al paese l‘iniziativa russa a Cuba e avrebbe annunciato il blocco navale della flotta USA davanti all’isola per ispezionare le 26 navi mercantili russe in navigazione verso Cuba e impedire lo sbarco nell’isola a quelle che trasportavano i pezzi mancanti per completare le rampe. Durante la preparazione del discorso il Presidente ritenne conveniente sostituire la parola “blocco” con “quarantena” considerandolo un termine più lieve e più aperto al dialogo. Questo cambio in corsa è una testimonianza di quanto un leader accorto debba tenere conto di quanto possa pesare l’uso di un vocabolo o verbo nell’esercizio della politica.
In effetti, mentre avvertiva la popolazione e ordinava lo stato di all’erta di tutte le truppe statunitensi sparse in ogni angolo del pianeta, dette il via a un’intensa e articolata ricerca di interlocutori delle opposte organizzazioni spionistiche e a un costante dialogo riservato delle diplomazie. John Kennedy - consapevole della contrarietà dei capi militari - si preoccupò di un possibile incidente provocato ad arte approfittando del contatto ravvicinato tra le navi della propria Marina Militare e le navi russe. In effetti qualche colpo di cannone partì e il Presidente ordinò al Ministro McNamara di alloggiare stabilmente nella Sala operativa del Pentagono per controllare da vicino il comportamento dei vertici militari e dei comandanti delle navi. Questa scelta si rivelò decisiva per non trasformare la quarantena in una deflagrazione inarrestabile. Infatti McNamara intervenne per tacitare sul nascere alcuni atti impulsivi o voluti.
 
  1. La soluzione diplomatica finale
In questa delicatissima situazione vissuta sul filo del rasoio e con i nervi a fior di pelle e mentre proseguivano i contatti diplomatici segreti entrarono in scena due co-protagonisti. Il Segretario Generale dell’ONU U Thant propose la ricerca di un’uscita dalla crisi con un compromesso in cui ciascuno dei due contendenti avrebbe dovuto fare un passo indietro. Più generico ma forte per il suo prestigio fu l’appello del Papa Giovanni XXIII, che si rivolse ai due capi esortandoli a fare di tutto per evitare una catastrofica guerra nucleare.
Giunse una prima lettera di Kruscev che si dichiarava disponibile a concordare una via d’uscita in cui le due parti uscissero soddisfatte. Fidel Castro tentò di tutelare il ruolo di Cuba ma ormai la vicenda aveva assunto una dimensione tale che l’unico modo per venirne fuori era la trattativa tra i due paesi-guida degli opposti sistemi di alleanza. Ottenne comunque che l’URSS si impegnasse comunque per fare entrare la difesa dell’indipendenza di Cuba. Occorreva scongiurare il pericolo incombente di un incidente che potesse creare una situazione tragica di non ritorno. Ogni istante avrebbe potuto scoppiare la scintilla di una nuova “Sarajevo”.
Il giorno più acuto della crisi fu il 27 ottobre, definito in seguito il “Black Saturday” (Sabato Nero). Dopo due giorni col fiato sospeso per il silenzio di Kruscev (si era sparsa addirittura la sensazione che avesse perso lo scontro con i suoi falchi e fosse stato destituito)e dopo una serie di incidenti che fecero prevedere il peggio,  al termine di quel giorno finalmente giunse un nuovo messaggio di Kruscev a Kennedy che ribadiva la disponibilità all’accordo e accennava ai contenuti:  
“Sei preoccupato su Cuba. Dici che questo ti inquieta perché è a 99 miglia di mare dalla punta della Florida. Ma hai piazzato armi missilistiche distruttive letteralmente accanto a noi. Siamo disposti a rimuovere da Cuba i mezzi che tu consideri offensivi. Ma devi impegnarti a ritirare i missili analoghi dalla Turchia, ai confini del Caucaso”.
Kennedy replicò il 28 con una dichiarazione che aveva i toni dell’uscita da un incubo: “E’ la decisione di un grande Statista e un contributo importante e costruttivo alla pace”. Informato sulla trattativa ormai avviata verso la sua conclusione e prendendo realisticamente atto che non poteva fermarla - Fidel Castro ottenne da Mosca l’inserimento, nell’accordo ufficiale concordato tra Robert Kennedy e l’Ambasciatore sovietico a Washington, della clausola che avrebbe preservato Cuba da un nuovo tentativo di invasione: “Gli Stati Uniti rispetteranno l’inviolabilità dei confini cubani e la loro sovranità. E si impegneranno a non interferire negli affari interni dell’isola e a non permettere ad altri che il territorio USA venga utilizzato come testa di ponte per invadere Cuba. E fermeranno coloro che intendono condurre un’aggressione contro Cuba sia dagli USA che da altri Stati vicini”.
Da parte sua l’Unione Sovietica - ottenuta questa assicurazione per Cuba - si impegnò a smantellare immediatamente le basi missilistiche nell’isola. Si concordò invece di mantenere segreta l’altra parte dell’accordo: lo smantellamento dei missili USA in Turchia. Operazione che sarebbe stata attuata a distanza di alcuni mesi per non dare l’impressione che si era trattato di un baratto, sottolineando il grande contributo alla pace dei due leaders. Grande risalto venne inoltre dato a due altri aspetti dell’accordo che si prestavano ad un impatto tranquillizzante sull’opinione pubblica mondiale:
  1. la creazione di una linea telefonica diretta tra i due Presidenti - la “linea rossa tra Casa Bianca e Cremlino” - con l’intento di evitare equivoci, fraintendimenti, interferenze e manipolazioni che avrebbero potuto mettere in pericolo la pace mondiale come era accaduto in quei giorni concitati sull’orlo dell’abisso;
  2. l’impegno per un accordo tra le due superpotenze (che sarebbe stato firmato il 5 agosto 1963 a Mosca) per la messa al bando parziale di esperimenti nucleari e per porre fine ai test atomici in atmosfera.  
 Considerazioni conclusive
I risvolti di quel conflitto atomico evitato non hanno avuto gli sviluppi auspicati. Le guerre regionali, locali e civili hanno continuato a imperversare ovunque come una maledizione fratricida che contraddistingue l’homo sapiens da quando si è diffuso nel pianeta Terra e ne ha conquistato il primato con la sua intelligenza superiore a tutti gli altri esseri viventi.
Fidel Castro digerì male l’esclusione dalle trattative e non gradì che la questione spinosa della base navale statunitense nella baia cubana di Guantánamo fosse stata ignorata. Raggiunse l’obiettivo minimo possibile di evitare una nuova invasione. Tuttavia l’ostilità degli Stati Uniti, la loro insofferenza per la diversità e autonomia dell’isola, non si è mai placata. Anzi si è intensificata durante le due presidenze Trump. L’unico tentativo serio di superamento è stato attuato dal Presidente Obama. Ma si è infranto sul muro invalicabile della pretesa, avviata con la Dottrina Monroe nel 1827, che il resto del continente americano debba essere il “cortile di casa” degli Stati Uniti. La stessa escalation del Bloqueo è stata inarrestabile, con altre leggi successive nel 1963 e nel 1979 sino al Cuban Democracy Act del 1992 e alla Legge Helms-Burton del 1996. Dal 1992 l’Assemblea Generale dell’Onu ha approvato ogni anno una risoluzione per porre fine a questa assurda persecuzione che provoca sofferenze al popolo cubano. E’ passata sempre con sporadiche astensioni e due soli stabili voti contrari: Israele e Stati Uniti. Ma essendo questi ultimi uno dei cinque Stati con diritto di veto (tallone d’Achille dell’ONU dalla sua istituzione nel 1945) la Risoluzione ha un valore soltanto morale e resta un bel documento. 
Quanto ai due maggiori protagonisti, entrambi non furono premiati per quell’accordo. Anzi pagarono amaramente per il loro operato.
John Kennedy venne attaccato ripetutamente dal generale LeMay che lo accusò di capitolazione ai sovietici e di aver abbandonato la causa degli anticastristi con l’impegno di non invadere Cuba e di contrastare chi lo avesse voluto fare. Arrivò a dire - perdendo il senso della misura - che la risoluzione della crisi era stata la «più grande sconfitta della nostra storia». Il più giovane Presidente degli Stati Uniti venne assassinato a Dallas il 22 novembre 1963 in un attentato su cui gravarono e gravano tante strane circostanze mai del tutto chiarite e forti sospetti di coinvolgimento della CIA e dei gruppi di fuorusciti cubani.
A sua volta Nikita Kruscev subì attacchi simili da parte dei falchi russi che avevano desiderato aprire il conflitto. Lo accusarono di essere stato arrendevole con Kennedy. La conclusione diplomatica della crisi dei missili a Cuba condotta in solitudine con i collaboratori più fidati non venne accolta bene neanche dai vertici del Partito Comunista Sovietico, destando diffusi malumori. Pagò anch’egli nel 1964 la sua scelta con la decisione del Politburo di defenestrarlo dal potere, sostituendolo con Leonid Brežnev e decretando la sua totale uscita dalla scena politica.
Concludendo questa disamina di storia globale, ritengo di poter affermare che se in quell’ottobre 1962 non si scatenò la Terza Guerra Mondiale dominata dalle armi atomiche lo si deve soprattutto ai due protagonisti principali, considerato il duplice reciproco ruolo al vertici delle due superpotenze e dei due sistemi di alleanza della Guerra Fredda: Kennedy e Kruscev. Non persero mai il lume della ragione, resistendo con fermezza, lucidità e alto senso di responsabilità a coloro che parteggiavano per la guerra da entrambe le parti. Furono consapevoli dei rischi e disposti ad assumersi le responsabilità. Si caricarono sulle loro spalle la parte più ardua e disagevole della soluzione diplomatica: la rinuncia reciproca a qualcosa. Fecero prevalere la logica della ragione sulle passioni e le volontà di sopraffazione. E salvarono l’umanità e il pianeta Terra da una catastrofe senza precedenti nella Storia.  

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