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13 apr
Pasquale Amato _ Amato - Umberto Zanotti Bianco _ Visualizzazioni: 42706

Pasquale Amato - UMBERTO ZANOTTI BIANCO E LA “SUA” REGGIO CALABRIA. LA CITTÀ DOVE DIVENNE "MERIDIONALE" PRIMA CHE "MERIDIONALISTA" .

Pasquale Amato - UMBERTO ZANOTTI BIANCO E LA “SUA” REGGIO CALABRIA. LA CITTÀ DOVE DIVENNE
Pasquale Amato: "UMBERTO ZANOTTI BIANCO E LA "SUA" REGGIO CALABRIA. LA CITTÀ DOVE DIVENNE "MERIDIONALE" PRIMA CHE "MERIDIONALISTA" .
Ho racchiuso in questo titolo il senso e il contenuto della mia prefazione al pregevole volume che Angela Martino, Maria Pia Mazzitelli e Francesca Paolino hanno amorosamente curato. Un libro che ha arricchito la conoscenza del grande anglo-greco-italiano che scelse volontariamente di essere figlio adottivo di Reggio e della sua provincia (oggi Città Metropolitana).
Il volume è stato difatti pensato e realizzato dalla Sezione reggina di "Italia Nostra" (di cui fu tra i fondatori nel 1956 e primo Presidente sino alla morte nell'agosto del 1963) utilizzando la ricca documentazione del Fondo archivistico e bibliotecario "Umberto Zanotti Bianco" della Biblioteca Comunale "Pietro De Nava" di Reggio Calabria. È stato sostenuto finanziariamente da Eduardo Lamberti Castronuovo nel felice periodo di Assessore alla Cultura della Provincia oggi Città Metropolitana e pubblicato da Leonida Edizioni.
Sarà per me, che ho dedicato una parte consistente dei miei studi storici e molteplici iniziative culturali alla grande figura di Zanotti, un piacere immenso presentare questo prezioso volume assieme a Antonio Cosimo Calabrò. Il quale è stato il primo Sindaco a onorare in maniera adeguata la memoria di Zanotti Bianco, intitolandogli una delle vie principali di Villa San Giovanni.

IL TESTO DELLA PREFAZIONE

"L’iniziativa della Sezione reggina di Italia Nostra è molto pregevole perché, ponendosi l’obiettivo di valorizzare la ricca e varia documentazione del Fondo di Umberto Zanotti Bianco custodito nella Biblioteca Pietro De Nava, ha consentito di evidenziare un dato sinora poco emerso in molte ricostruzioni della singolare figura del greco-anglo-italiano.  La considerevole estensione dei documenti del Fondo è difatti la testimonianza più inequivocabile della sua rilevante presenza nella storia di Reggio Calabria e dei centri dell’ex-provincia, oggi Città Metropolitana.

Una presenza che prese l’avvio nel gennaio 1909 quando, non ancora ventenne (era nato il 22 gennaio 1889 a La Canea nell’isola di Creta), egli scese nella città con i suoi giovani amici del Comitato Vicentino di Antonio Fogazzaro per portare soccorso tra le macerie del catastrofico terremoto del 28 dicembre 1908. E si concluse con il soggiorno di alcuni giorni prima del decesso a Roma il 28 agosto 1963. Questo rapporto costante e intenso fu interrotto, soltanto fisicamente, dal sofferto intervallo forzato del periodo dal 1928 al 1944, dovuto dapprima al provvedimento di Sorvegliato Speciale del regime fascista con divieto di mettere piede in Calabria e poi al confino a Paestum dal 1941.

Il lungo intervallo fu generato soprattutto dall’azione realizzata in svariati settori del territorio reggino da Zanotti grazie alla “scelta di vita” che aveva compiuto nel 1912, abbandonando ogni velleità personale in campo letterario e mettendo al servizio del “suo Mezzogiorno” le sue straordinarie doti di intelligenza, cultura, sensibilità e umanità.

Era noto il suo rifiuto etico del fascismo sin dalla nascita del partito nel 1919. Tuttavia alcune iniziative acuirono l’insofferenza crescente del regime nei suoi confronti. La prima fu l’intervento del ‘24 per il prosciugamento delle paludi malariche di Ferruzzano, centro della costa jonica reggina. La Guerra del 15-18 aveva rallentato la campagna contro la malaria condotta tramite il prezioso apporto del chinino. L’impegno dell’ANIMI (Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia, fondata a Roma nel 1910grazie all’iniziativa di Zanotti Bianco) e di altre organizzazioni umanitarie era ripreso nel 1919.

Ma erano riemersi i tradizionali favoritismi territoriali di cui il Sud era stato costante vittima dal 1861, provocando proteste diffuse nel clima già arroventato del dopoguerra. L’intero paese era percorso da differenti crisi: le occupazioni delle terre nel Mezzogiorno come reazione alle promesse mancate del 1917, quando ai fanti-contadini meridionali erano state promesse le tanto agognate terre incolte dei latifondi per motivarne il sacrificio in “difesa della patria” sulla riva del Piave; nel centro e soprattutto nei cuori pulsanti dell’industria del Nord erano in corso le lotte politiche e sociali del Biennio Rosso.

In quel clima sociale torrido Zanotti non aveva esitato ad aprire nel 1921 una rovente polemica contro "la sperequazione ... nella distribuzione del chinino e dei sussidi per la lotta antimalarica alle varie regioni". Nonostante che Sud e isole avessero raggiunto nel triennio 1918/21 “i sette decimi della morbilità per malaria di tutto il Regno" e che i decessi fossero per i quattro quinti nella stessa area, quelle regioni erano aiutate “in proporzioni assai minori che non regioni meno malariche del Nord e del Centro".  Mentre la Sardegna col 28,41% dei casi aveva ottenuto l’8,99% di chinino ed il 3,98% dei sussidi in denaro; al Lazio col 4,18% dei casi erano spettati il 20,39% di chinino ed il 24,50% dei sussidi.

Pertanto le regioni "veramente malariche" possedevano e consumavano quantità di chinino inferiori al fabbisogno "per una lotta efficace". E aveva proposto la nazionalizzazione dell'imposta per il chinino, la somministrazione gratuita del chinino e la distribuzione dei sussidi in base a statistiche provinciali su morbilità e mortalità”.

A giudizio di Zanotti era tuttavia troppo comodo aspettare lo Stato – “coi suoi rinvii ammantati di populismo deteriore, di demagogia dei cambiamenti radicali, di retorica vuota, di leggi mai applicate” - senza agire nell'immediato: "Se è nostro dovere insistere perché queste proposte di riforma penetrino nella coscienza del paese, non attenderemo il loro trionfo per agire". L’ANIMI aveva perciò riattivato i pochi ambulatori superstiti in provincia di Reggio come "primo sforzo per la ripresa di una battaglia ben più che tante vane e stucchevoli declamazioni".

Zanotti, come di consueto, non si era fermato all’intervento d'urgenza. Era andato oltre, facendo ricorso alle competenze dei medici Pietro Timpano di Bova e Francesco Genovese di Caulonia, malariologo. Grazie ad essi era stato elaborato un programma articolato d'interventi: innanzitutto era nato a Reggio nel 1920 l'Istituto Diagnostico per le malattie infettive diretto da Timpano, per decenni l’unico nell’intero Sud. E nel 1922 era nata la Colonia Montana preventiva Franchetti in località Mannoli di S. Stefano d'Aspromonte. Si arrivò così nel 1924 alla prima opera pubblica realizzata dall'ANIMI: il prosciugamento delle paludi malariche di Ferruzzano e l’allestimento di un Ambulatorio anti-malarico, andando incontro alle sollecitazioni del farmacista locale Giovanni Sculli, esponente di rilievo del Partito Socialista reggino.

 L’affiancamento a Sculli e la realizzazione di un’opera di interesse pubblico alimentarono l’insofferenza nei suoi confronti delle autorità fasciste per lo smacco subito da un'associazione privata che si era sostituita al Governo, dimostrando che la malaria non era un flagello imposto dalla natura maligna ma un male che si poteva affrontare e sconfiggere con interventi appropriati. Per la felice soluzione del “caso Ferruzzano” Zanotti fece ricorso ad aiuti di organismi internazionali, a raccolte di fondi compiute da lui personalmente a Mìlano e in altri centri del Nord, nonché alle entrate della Lotteria Italica, ideata come forma di autofinanziamento.

Ancora una volta, quindi, egli aveva colto un'esigenza, ne aveva analizzato le peculiarità e denunciato le deficienze. Nel contempo aveva ìndividuato le intelligenze e le competenze in grado di suggerire gli interventi più efficaci e di garantirne la più qualificata realizzazione. Aveva poi provveduto ad inventarsi forme lecite e trasparenti di autofinanziamento, procurandosi le risorse. Aveva infine attuato il prosciugamento delle paludi malariche. Aveva dato così risposte concrete senza andare alla ricerca di alibi riferiti alla natura maligna, all'ambiente ostile, al governo sordo, alla burocrazia corrotta ed inefficiente, alla scuola scadente, ai servizi inesistenti o alla mancanza di collaborazione locale.

A questo caso che aveva aggravato la sua posizione si aggiunsero due eventi, entrambi nel 1928 e quindi ancora meno graditi perché il Partito Fascista aveva ormai assunto i pieni poteri.

Nel campo dell’istruzione l’ANIMI aveva ottenuto risultati encomiabili nella lotta contro l’analfabetismo con la creazione di oltre 2000 scuole serali, diurne, festive, rurali, ambulanti per i figli dei pastori, nelle regioni ad essa assegnate dal Governo nel 1921: Calabria, Sicilia, Sardegna e Basilicata. Si era rivelato vincente per questo innegabile successo il suggerimento di Zanotti di affidare a due esperti pedagogisti la preparazione di un programma didattico flessibile, adattato alle esigenze delle varie realtà territoriali: i professori Giuseppe Lombardo Radice dell’Università di Catania e Giuseppe Isnardi, ligure, che insegnava nel Liceo Classico di Catanzaro. Tuttavia nel 1928 - su proposta di Zanotti – l’Associazione rinunciò all’incarico dell’Opera contro l’Analfabetismo per non sottostare alle pretese del regime di iscrizione obbligatoria di tutti i maestri al Partito Nazionale Fascista.

Nello stesso anno la goccia che fece traboccare il vaso fu il <> zanottiano di aver denunciato anche fuori dei confini italiani lo stato di totale miseria e di colpevole abbandono in cui viveva Africo, paese nel cuore dell’Aspromonte, di aver costruito in esso – grazie ai contributi raccolti in tutta l’Europa -  un Ambulatorio e due Asili e di aver ottenuto la costruzione di una passerella sul fiume Apòscipo. La relazione finale dell’inchiesta - condotta in collaborazione con Manlio Rossi Doria, giovane laureato di Agraria a Portici di cui Zanotti aveva individuato il valore - divenne famosa sia per il suo contenuto di realistica denuncia che per altri motivi: testimoniò la grande vocazione di brillante scrittore del suo autore; confermò la sua conoscenza puntuale delle lingue locali; evidenziò il suo talento di comunicatore nel titolo ricco di suggestioni: “Tra la perduta gente”. 

Zanotti pagò un prezzo molto alto. Venne sottoposto nello stesso 1928 alla sorveglianza speciale come "pericoloso sovversivo in combutta con i comunisti", tramutata nel 1941 in arresto col confino a Paestum. Venne seguito giorno e notte da due guardie in borghese, limitandone fortemente la multiforme attività. Ma ciò che rese più amaro il provvedimento restrittivo fu il perfido divieto “di mettere piede in Calabria”, perché era la regione in cui aveva esercitato prevalentemente la sua attività e vi intratteneva troppi legami con “ambienti sospetti” o dichiaratamente non vicini al regime. Infatti molti tra i suoi compagni di viaggio erano socialisti, repubblicani, liberaldemocratici o legati agli ambienti del cattolicesimo sociale.

Tuttavia i censori non fecero bene i conti con la sua intelligenza e la sua perseveranza. Egli non intese rinunciare del tutto alla sua esigenza del “fare” nel Sud. Si sentiva pienamente “meridionale”. Quando in alcuni frangenti - dopo la guerra e la lunga degenza di sei mesi per la ferita riportata; dopo l’edificazione del Villaggio Armeno a Bari per i superstiti del primo genocidio del ‘900; dopo la spedizione in Russia per soccorrere i bambini durante la carestia del Volga -   era rientrato da periodi prolungati di assenza a Reggio, nel suo Ufficio-Casa-Biblioteca del Cipresseto, aveva sovente scritto nel suo diario: “Sono tornato nel mio Mezzogiorno”.

Quindi per non rinunciare del tutto al “suo Mezzogiorno”, si reinventò puntando sull’unico settore in cui non veniva considerato “pericoloso”. Dimessosi dal Direttivo dell'ANIMI per non danneggiare l’Associazione, si trasformò da procacciatore di fondi per l’attività della "Società Magna Grecia" (fondata nel 1920 a Milano assieme a Paolo Orsi) in archeologo, collaborando in Sicilia agli scavi condotti dallo stesso Orsi a Sant’Angelo Muxaro.

Avendone assimilato del tutto il metodo, nel 1932 riuscì a sfuggire ai suoi angeli custodi scoprendo in soli venti giorni il sito antico di Sibari. La notizia dell’importante ritrovamento gli procurò l’immediato allontanamento per effetto del divieto del ‘28. Ciò non gli impedì nel 1934 di dare vita ad un’altra storica impresa: assieme all’archeologa napoletana Paola Zancani Montuoro, con mezzi esigui al limite della sopravvivenza, iniziò lunghe e faticose ricerche nella vasta foce del fiume Sele sino alla scoperta nel 1938 dello stupendo Tempio di Heraion a Paestum. La notorietà seguita all’impresa convinse il regime che era meglio isolarlo definitivamente, arrestandolo e confinandolo nella stessa Paestum nel 1941.

Nel 1944, tornato a Roma dopo la liberazione, venne nominato Presidente della Croce Rossa con il compito di risollevarla da condizioni di totale disfacimento. Fece valere le sue relazioni internazionali e il prestigio di chi non si era mai piegato anche nei momenti dei maggiori consensi del regime. Riuscì a riorganizzare e rilanciare così bene l’Ente da suscitare l’appetito di esponenti dei partiti che aspiravano a occupare incarichi per trarne benefici elettorali. Ne conseguì un lungo braccio di ferro con De Gasperi (interprete delle pressioni dei partiti di governo per occupare posti all’interno della CRI) cui oppose resistenza per la sua netta convinzione della necessaria neutralità dell'istituzione sanitaria rispetto alla politica. La contesa si risolse con le sue polemiche dimissioni nel 1949, offuscate dalla grande stampa nazionale.

La vicenda della Croce Rossa confermò una riflessione che aveva maturato già durante i governi del CLN. A suo giudizio, il fascismo aveva alterato i rapporti tra partiti e società civile. Aveva cioè imposto un sistema di sussidiarietà tra associazionismo e partito unico, una prassi che egli definiva “fascistizzazione” della società italiana, convertita in collateralismo pluralista tra associazioni e partiti nel secondo dopoguerra. Questa sua tesi la verificò anche nella ripresa dell’attività dell’ANIMI, constatando che essa non riuscì più ad incidere sulla realtà del Mezzogiorno come negli Anni Dieci e Venti, in quanto si trovò compressa e sovente emarginata nel clima della guerra fredda in cui l'opzione partitica prevaleva su quella associativa.

Tuttavia non rinunciò a rendersi utile. Nel 1951 assunse per la prima volta la Presidenza dell’ANIMI dopo esserne stato da sempre l'anima. Nell’autunno dello stesso anno, in seguito al disboscamento selvaggio attuato nel 1944-45 dagli anglo-americani per esigenze belliche, le fiumare dell’Aspromonte esondarono provocando disastrose alluvioni e lo smottamento di interi paesi come Africo.

Zanotti fu in prima linea nei soccorsi mobilitando tutte le strutture dell’Associazione e si occupò anche della ricostruzione. Chiese a Rossi Doria e ad un geologo di individuare un’area sicura su cui riedificare il paese aspromontano che era stato al centro della sua iniziativa del 1928. Venne scelta la Contrada Carruso nell’ambito del territorio comunale. Ma la sua proposta, che privilegiava la ricostruzione in un terreno geologicamente sicuro con la garanzia di non sconvolgere il rapporto della sua popolazione con la montagna, si scontrò con quella del Parroco Don Giovanni Stilo. Grazie ai legami con i vertici della DC, partito dominante nel Governo del Paese, prevalse la soluzione del prete africese di ricostruire il Centro aspromontano sulla costa, in un territorio strappato per decreto al Comune di Bianco. Sebbene alcuni nuclei familiari avessero preferito costituire un nucleo abitato nella Contrada Carruso, per Zanotti fu una sconfitta. In essa trovò ulteriore conferma la sua tesi sui ridotti margini di iniziativa per il libero associazionismo rispetto all’Italia pre-fascista.

Continuò comunque a stare al fianco degli alluvionati aspromontani e si prodigò in loro difesa sino all’estate del 1963, scendendo costantemente a Reggio e occupandosi di tutte le attività e degli istituti dell’ANIMI. Due occuparono un posto particolare nel suo cuore: l’Istituto Diagnostico e la Colonia montana di Mannoli.  

Riuscì nel frattempo a dare vita nel 1956 - assieme a personalità di alto profilo intellettuale e morale come Elena Croce e Antonio Cederna - alla prima Associazione italiana impegnata a difendere i beni culturali, artistici e ambientali: Italia Nostra. Associazione che si affidò alla sua prestigiosa Presidenza sino al decesso nel 1963.

L’anima, i valori, i metodi del percorso di vita di Zanotti Bianco, le sue idee e la sua azione ottennero un giusto riconoscimento nel 1952 con la nomina a Senatore a vita - da parte del Presidente della Repubblica Luigi Einaudi - per "alti meriti civili e sociali".

 

In sostanza, Umberto Zanotti Bianco è stato, fra le personalità italiane del '900, colui che ha rappresentato il più alto livello di sintesi fra la teoria e la prassi, tra le idee e le azioni, tra la denuncia e la proposta, tra la richiesta di interventi di riequilibrio sociale ai poteri pubblici e la capacità di rimboccarsi le maniche per coprire i vuoti del potere pubblico.

Il percorso di vita del greco-anglo-piemontese - che a Reggio scelse di diventare “meridionale” ancor prima che “meridionalista” - è stato il filo conduttore di un racconto che argomenta una mia personale tesi: quella dei meridionalisti degli Anni giolittiani fu la generazione che condusse l’ultima grande battaglia contro la colonizzazione del Mezzogiorno. Sebbene ci fossero profonde divisioni, soprattutto Zanotti e Salvemini fecero di tutto per alimentare speranze e operarono non cedendo mai allo sconforto e alla tesi di coloro che consideravano il divario Nord/Sud come un “destino cinico e baro”.

Oggi i valori di alto contenuto culturale e sociale e i metodi di idea e azione di Zanotti Bianco sono elementi che - nell'era della rivoluzione tecnologica globale - forse non sarebbe male recuperare per rilanciare un associazionismo laico capace di denunciare e proporre ma anche di progettare e di agire nell'ambito di un'idea complessiva della società dove l'impegno per una maggiore equità sociale non debba venire mai meno.

Questo lodevole progetto di valorizzazione del vasto patrimonio di documenti che Umberto Zanotti Bianco ha lasciato in eredità alla “sua” Reggio può costituire un’ottima base di partenza per recuperare il suo approccio costruttivo: mai dire “non si può fare”; ma porsi sempre l’interrogativo di “cosa si può fare” e comunque realizzare anche un minimo di ciò che si potrebbe fare".

*Storico, Docente Universitario di Storia


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