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24 dic
Pasquale Amato _ Biografia di P. Amato _ Visualizzazioni: 80876

Pasquale Amato: I MAGICI NATALI DEGLI ANNI ’40-60. E QUEL FASCINO ISPIRATORE DEL PRESEPE, DALLA NONNA A SANDRO

Pasquale Amato: I MAGICI NATALI DEGLI ANNI ’40-60. E QUEL FASCINO ISPIRATORE DEL PRESEPE, DALLA NONNA A SANDRO
Premessa: Mentre si avvicina il Natale del 2022 ripropongo questo Articolo nato nella solitaria notte di Natale del  dicembre 2020 e aggiornato e ampliato nell'altrettanto solitario Natale del dicembre 2021.  Rileggendolo l'ho considerato di pregnante attualità, sebbene la minaccia del Covid si sia affievolita ma sia stata purtroppo sostituita dalla Guerra tornata nel cuore dell'Europa, con tutti i suoi effetti disastrosi per i popoli coinvolti direttamente e per gli altri popoli che nella società sempre più globale ne stiamo subendo le pesanti conseguenze indirette. Ho valutato se fosse il caso di cambiare l'accenno iniziale destinato alla pandemia. Ma alla fine ho deciso di riproporlo così come è nato nella triste e solitaria notte di Natale del 2020 con l'aggiornamento e gli ampliamenti dell'altro freddo Natale solitario del 2021, apportando soltanto lievi ritocchi e qualche aggiunta. Ha prevalso pertanto l'idea di riproporlo come una specie di testimonianza storica delle sensazioni e dei ricordi dei magici Natali del secondo dopoguerra, suscitati e rivissuti nella mia memoria nel particolare clima che ha pervaso il mondo negli anni della più acuta e tragica diffusione del Covid 19.
E' la notte di Natale del 2021. Una fredda notte dominata per il secondo anno consecutivo dalla pandemia del Covid19. Per la seconda volta nella mia vita ho passato in solitudine il giorno di Natale.
Sono solo nella casa della mia amata Reggio. Si trova in quella Via Lia che conosco dagli anni dell'infanzia e della gioventù, quando nei mesi autunnali e invernali era la Fiumarella Lia che dalla cima della Collina di Pentimele confluiva con le sue acque nella Fiumara Annunziata, al limite Nord del Centro Storico; e nei caldi mesi estivi si tramutava in una mulattiera che noi ragazzi e ragazze scalavamo sino in cima, nel Fortino, raccogliendo tante more selvatiche dai cespugli che delimitavano i Bergamotteti e gli Agrumeti.  
Immersi nei profumi che emanavano dai Fiori di Zagara, ci fermavamo finalmente, stanchi ma felici, in cima a consumare il panino preparato da nonne e madri. Il mio preferito era quello con la tradizionale frittata di patate e cipolle, versione della “tortilla” importata dagli spagnoli nei secoli di presenza nel vice-Regno di Napoli. L'autrice di questa pietanza, che è tuttora la mia preferita assoluta, era la mia nonna paterna Concetta, beneventana e maestra di cucina di cui mia madre è stata brillante allieva (seguita da mio fratello Sandro, da mia sorella Cettina e dalle sue figlie Raffaella e Viviana). 
Da lassù ci godevamo lo straordinario panorama della città che degradava lentamente dall’Aspromonte verso il mare con la catena dei Monti Peloritani e il mastodontico e fumante vulcano Etna sullo sfondo. Aspettavamo, per iniziare la discesa, i primi colori incantevoli che il sole forma mentre comincia a calare dietro quello scenario da favola. Oggi l'ex-fiumarella-mulattiera è stata tramutata in una delle Vie più trafficate di Reggio collegata con l’Autostrada. Quando piove forte, però, la natura si prende la sua rivincita convertendo la Via Lia nel letto della Fiumarella che storicamente è sempre stata.
Negli stessi Anni Quaranta-Sessanta, quelli della mia infanzia e giovinezza, quelli del secondo dopoguerra e della ricostruzione di un’Italia ridotta a brandelli dagli anni della Guerra ma attraversata da una grande voglia di rinascita, il Natale era ancora un periodo magico. Era atteso con ansia da tutti, giovani e adulti. Per noi più giovani era il periodo in cui i sogni coltivati durante l'anno si addensavano in momenti di vita collettiva vissuti con l'intera parentela. Aveva le sue anteprime nella Pasqua e nella Pasquetta e poi nel Ferragosto.
Ma le Feste di Natale erano tutt'altra cosa. Erano il culmine dei sentimenti, delle emozioni attese per un anno. C'erano anche allora il Cenone della Vigilia e il Pranzo di Natale. E poi - nel breve giro di una settimana - la ripetizione di entrambi nella vigilia di fine anno e nel Capodanno. Le crispelle, i petrali e i torroni erano protagonisti delle tavole natalizie dei reggini, testimonianze di riti millenari che resistono tuttora ai segni del tempo. Costituiscono le "Onde di lunga durata" della Storia che sono state l'intuizione geniale di Fernand Braudel nell'ambito della rivoluzione storiografica delle Annales di Parigi. Quelle onde sono culture, mentalità, tradizioni, modi di vivere e cibi tipici che non si piegano per millenni a qualsiasi evento e si perpetuano caratterizzando le diverse identità di culture e lingue dei popoli.  
Tuttavia la percezione del Natale era discordante rispetto a quella affermatasi nei decenni successivi, con il boom del consumismo che ha investito la nostra società sino alle soglie della pandemia, che sta sconvolgendo il mondo da quasi due anni e che lascerà strascichi durevoli facendo saltare molte certezze che sembravano intangibili sino al febbraio del 2020 (1).
Nella mia famiglia acquistava inoltre un sapore speciale. Dai primi giorni di dicembre cominciavano i preparativi nel laboratorio della Pasticceria di mio padre Lorenzo per la lavorazione dei torroni. Allora erano soprattutto di tre forme: il torrone bianco all'ostia - il più legato alle tradizioni storiche più antiche (forse per questo era il mio preferito) -, il torrone Gelato e il torrone "a spoglia" ricoperto di glassa di vari gusti. Sto risentendo - nell'immaginario della mia mente - la sensazione olfattiva piacevolissima del torrone che usciva dal forno e inondava col suo profumo non solo il negozio ma anche l'area attorno alla Pasticceria (sensazione che provo tuttora quando mi trovo nei pressi di un laboratorio di Pasticceria). Seguiva poi per noi più giovani la fase avventurosa della confezione dei torroni "a spoglia" ("l'impogliamento"). Si realizzava una vera e propria mobilitazione di massa della famiglia, allargata ai parenti, con cugine e cugini, zie e zii. Era l'anticipazione dei giorni centrali in cui davamo tutti una mano (a partire da noi tre figli secondo le relative vocazioni naturali: Sandro in laboratorio con mio padre e gli altri lavoranti, Cettina alla cassa ed io nelle relazioni umane e vendite assieme a mia madre). Poi ci ritrovavamo a tavola in alcune case che furono anche i luoghi d'incontro più ampi dopo le cene e i pranzi e negli altri giorni sino al 6 gennaio. Era il Giorno della Befana, atteso con particolare ansia da bambini e ragazzi, perché si ricevevano doni che ci avrebbero accompagnati per un anno. I giocattoli, i giochi, i libri illustrati venivano donati quasi esclusivamente in quel giorno, che era peraltro l'ultimo delle vacanze natalizie prima del ritorno a scuola il 7 gennaio.   
I luoghi collettivi di quei Natali furono soprattutto due: dapprima la casa del nonno materno Alessandro Mastronardi, un vero e proprio guru, talmente decisivo da influenzare le scelte basilari della mia vita. I colloqui con lui, sottufficiale dei pompieri in pensione, il suo affascinante modo di raccontare aneddoti che trasmettevano indirettamente valori, occuparono per anni molti miei pomeriggi dopo aver fatto i compiti. Poi la crescita delle famiglie rese impossibile che ci ritrovassimo tutti nella stessa casa del Rione Tremulini, i cui cortili brulicavano allora delle voci di tantissimi bambini mentre oggi sono vuoti e taciturni dopo decenni di inesorabile diaspora che hanno portato altrove intelligenze e competenze.
Così ci dividemmo in case diverse ma con una dove ci radunavamo tutti al di fuori dei cenoni e dei pranzi: la casa della famiglia La Bozzetta in viale Amendola, sempre a Tremulini. In essa dominava, con il piglio e l'autorità di una vera e indiscutibile  leader, la maggiore delle cinque sorelle Mastronardi della numerosa famiglia di mia madre: la Zia Maria. Nei momenti conviviali ci ritrovavamo nel salone le famiglie La Bozzetta e Amato, con lo zio Giovanni attivissimo e felicissimo esecutore degli ordini della moglie Maria (con alcune furbesche eccezioni per le pietanze a lui più gradite) e la collaborazione delle figlie Mimì e Genj. Noi collaboravamo ben poco dato che la mia famiglia era totalmente ingoiata dall'attività in Pasticceria. Nel finale delle due Cene e Pranzi si ergeva nel ruolo principale la figura di mio padre Lorenzo. Giunto il tempo dei dolci "suoi" e dei "liquori fatti in casa" da Zia Maria (tra cui predominavano lo "Strega", il "Caffè Sport" e il mio preferito: il “Mandarinetto”), si esibiva nella sua seconda passione: le arie delle più popolari opere liriche. Il repertorio era vario e cangiante ma due pezzi erano fissi: quello di apertura ( la "Donna è mobile" dal Rigoletto) e quello di chiusura (il Brindisi dalla "Traviata"). 
A latere dei pranzi di Natale e Capodanno emerse col passare degli anni (quando ero ormai studente nel glorioso Liceo-Ginnasio reggino "Tommaso  Campanella") un problema logistico. Al momento di iniziare si cominciarono a evidenziare due assenze: la mia in Casa La Bozzetta e quella a casa sua di mio zio Ninì Mastronardi, soprannominato "il Filosofo" per la sua passione culturale e politica e l’indifferenza allo scorrere del tempo. Ero il suo interlocutore privilegiato per affinità elettive. Ci davamo appuntamento, per darci gli Auguri, alla chiusura della sua officina in Viale Amendola, di fronte a Piazza del Popolo. Ma la conversazione ci appassionava tanto da prendere il sopravvento. Mentre le due famiglie affidavano la ricerca dei "dispersi" a due cugini (il figlio di Ninì e Sandro La Bozzetta), noi ci accompagnavamo a vicenda più volte tra Piazza del Popolo e Piazza De Nava, rinviando costantemente il momento di salutarci, immersi in un dialogo intenso che annullava il tempo. Sino a quando provocammo un'ora e mezza di ritardo del Pranzo rituale. Da allora fummo accompagnati entrambi alla chiusura dell'Officina dai rispettivi angeli custodi.
Durante quei Natali un ruolo prioritario toccava all'antica tradizione tramandata dai tempi di San Francesco d'Assisi a Greccio: il Presepe. Specialista nella sua costruzione, nella vecchia casa di via Cardinale Portanova, fu nonna Concetta, fedele custode dell'arte tradizionale campana. Fu quotidianamente presente nella nostra casa nei miei primi dieci anni provvedendo soprattutto alla cucina e consentendo a mia madre Gioconda di impegnarsi nel banco di vendita della Pasticceria nelle ore mattutine. Mia madre riuscì comunque ad imparare da lei sia l'arte prelibata della cucina che quella del Presepe. Così, quando nonna Concetta si ammalò e non fu più in grado di raggiungere a piedi casa mia dalla sua abitazione nei pressi del Ponte della Libertà, il Presepe lo continuò a costruire lei nello stesso angolo della prima stanza, dove studiavo e dormivo io. Così ogni anno per quasi un mese (dall’8 dicembre al 6 gennaio) mi ritrovai a convivere con lo scenario rurale di Betlemme, la grotta nella cui mangiatoia nacque Gesù, i pastori, gli artigiani che praticavano vari mestieri, il cielo stellato e i tre Magi guidati dalla cometa. Quel mondo fantastico mi fece compagnia soprattutto nelle notti che sin da bambino dedicavo ad assidue letture di storia, sospinto dalla mia inesauribile brama di conoscenza e di meditazione che ha caratterizzato sempre la mia esistenza. Ho riflettuto a lungo su questo aspetto. E ne ho tratto la certezza che quel Presepe con cui ho coabitato nei primi venti anni di vita contribuì ad alimentare la mia vocazione a ricostruire la storia immaginando gli scenari degli eventi nella mia mente e descrivendoli negli scritti e nelle lezioni e conferenze come se fosse un film.
Nella nuova casa del Rione San Brunello mia madre continuò la tradizione del Presepe, scoprendo in Sandro dapprima un allievo, poi il collaboratore e dopo la sua partenza dalla vita terrena il continuatore, sino a divenire un vero e proprio maestro. Quando i suoi problemi di salute si aggravarono accrebbe la ricerca di soluzioni meccaniche avanzate e di "pastori" sempre più connessi alla tradizione storica del Presepe napoletano. Ne parlava sempre con entusiasmo assieme all'altra passione del modellismo navale. Passione di cui, soprattutto nei suoi ultimi anni, divenni il committente privilegiato. Tentai più volte di convincerlo a ufficializzare e promuovere i suoi Presepi, sempre più articolati e affascinanti. Ma fu impossibile vincere la sua ritrosia. Non amava stare in prima fila. Quando se n'è andato il 14 giugno del 2018 ho evidenziato, nel mio saluto durante la Cerimonia di Saluto nella Chiesa di Santa Caterina, che per decenni è stato il mio più assiduo e concreto collaboratore in Eventi culturali, sportivi e ricreativi. Ma quando si arrivava davanti al pubblico aveva sempre preferito stare seduto in fondo alla sala o comunque non in prima fila. Salvo poi, alla fine di ogni Evento, mentre altri collaboratori si dileguavano, ad essere il primo a raggiungere il tavolo della presidenza o il palco per la parte meno visibile: quella dello sgombero e del ritiro di tutto ciò che era servito per l'Evento. Si comprende così perché Sandro non volle mai saperne di accettare una promozione del suo Presepe. Prediligeva che la visione di esso fosse riservata ai familiari e alla ristretta cerchia degli amici. Due di essi, tra i più cari della sua vita - Luigi Calabrò e Luciano Costarella - organizzarono nell'ottobre del 2016 il viaggio che sognava da anni: la visita a Napoli della famosa via degli artisti del Presepe: "San Gregorio Armeno". Entusiasta per gli acquisti di alcune statuette animate che gli mancavano, si concentrò moltissimo sulla realizzazione dei suoi Presepi più articolati e belli nel 2016 e nel 2017 (di cui allego alcune foto scattate dalla sua carissima figlia Giada e da me). Fu il suo canto del cigno. Il Presepe di Sandro è finito con lui.
Nella Biblioteca Storica Globale della mia casa sono presenti i tre modelli navali che costruì per me: la “Soleil Royale”- nave Ammiraglia della flotta del Re Sole Luigi XIV - dell'inizio del '700; la "USS Constitution" della fine del '700; e una Nave da Guerra Romana. Aveva in corso la costruzione di due nuovi vascelli: l’italiano “Amerigo Vespucci" e lo svedese “Vasa”. Sono rimasti incompiuti. Tuttavia quei tre modelli, realizzati per soddisfare la mia passione smisurata per la Storia senza confini, fanno parte organica della Biblioteca. Mentre Sandro non ha smesso mai un momento di essere con me, con i suoi consigli, le sue battute critiche, la sua vena ironica, le sue passioni (l’Aics Brodolini, Gambarie d’Aspromonte, Cuba col Che e Fidel, il Presepe e il modellismo navale, i cantautori tra cui per primi Guccini e De André sino a John Lennon di cui allego la famosissima canzone natalizia contro tutte le guerre). Anche in questi giorni che hanno rinverdito il mio Amarcord. 

(1) Cfr. in questo Blog: Intervista di Roberta Pino a Pasquale Amato: IERI E OGGI AL TEMPO DELLA PANDEMIA. LA PESTE DI ATENE E IL COVID-19 


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Tag: amarcord dei magici natali del secondo dopoguerra