Articoli

03 gen
Pasquale Amato _ Reggio Calabria _ Visualizzazioni: 138136

Pasquale Amato: REGGIO DOPO IL 1908. LA RICOSTRUZIONE FU UNA SPLENDIDA RESURREZIONE

Pasquale Amato: REGGIO DOPO IL 1908. LA RICOSTRUZIONE FU UNA SPLENDIDA RESURREZIONE

  Il terremoto del 1908 fu un disastro che costrinse ancora una volta - nella loro storia plurimillenaria in comune - i reggini e i messinesi a rimboccarsi le maniche e a ricominciare tutto daccapo. Un disastro che impose un lungo intervallo, di almeno due decenni, in cui la parola d’ordine fondamentale fu quella della ricostruzione. Vi furono gravi e inevitabili conseguenze in tutti i campi, compresi gli scippi di uffici regionali da parte degli immancabili sciacalli.

  Vi era stato il precedente del terremoto calabro-siculo del 1783 che, pur avendo soprattutto interessato la fascia costiera tirrenica, provocò la distruzione di buona parte dei centri storici dello Stretto. La ricostruzione progettata dall’ingegnere napoletano Giovan Battista Mori - inviato con pieni poteri dal Governo borbonico - cambiò i connotati di Reggio. Scomparve la struttura di carattere medievale (con vie e viuzze tortuose e circondata da mura) e vide la luce una città con un impianto geometrico, in cui risultava evidente l’influsso raziocinante della cultura dell’Età dei Lumi. La stessa cultura che - ispirandosi all’architetto Ippodamo di Mileto, grande urbanista dell’Atene di Pericle nel V Secolo aC - all’inizio del ‘700 aveva ispirato i progettisti italiani di San Pietroburgo, la nuova capitale russa voluta dallo Zar Pietro I il Grande sulle rive del Mar Baltico.
  Il Piano di ricostruzione di Mori non si limitò comunque all'emergenza, ma sulla scorta della cultura illuminista di cui Napoli fu una delle sedi principali di elaborazione e di innovazioni, si mosse secondo una strategia di ampio respiro. Da una parte, gli impianti urbanistici subirono una vera rivoluzione e, dall'altra, si studiarono le prime tecniche di costruzione antisismiche e vennero varate le prime norme giuridiche in materia.
  Non furono rose e fiori. Mori dovette affrontare parecchi bracci di ferro con proprietari che non volevano rinunciare ai loro interessi privati in funzione di un interesse collettivo. Tuttavia riuscì, grazie al sostegno incondizionato del governo napoletano, a salvare i cardini del suo progetto del centro urbano, caratterizzato da due grandi strade diritte e parallele al mare: lo “Stradone” (poi chiamato Corso Murat nel periodo francese; Corso Borbonio al ritorno del Re Borbone; e dopo l’Unità dapprima Corso della Vittoria e infine Corso Garibaldi) e la “Via della Marina” (allora una sola carreggiata terrazzata sul mare e abbellita da alcuni grandi edifici che costituirono la Palazzina, ribattezzata dal popolo “Via Marina”). Le due arterie principali erano intersecate da strade perpendicolari che portavano dal mare alla collina, mentre sul Corso si aprivano a intermittenza le piazze ispirate alla tradizione greca dell’Agorà.
  Il risultato fu talmente incisivo da venire confermato nei suoi cardini essenziali dal Piano Regolatore di Pietro De Nava dopo il terremoto del 1908. Venne varato dopo un’accesa discussione che si svolse sia a Reggio che a Messina su due ipotesi alternative. Da una parte si schierarono i sostenitori di una ricostruzione totale che comportava l’abbattimento degli edifici rimasti in piedi per dare vita a grandi viali ispirati alla rivoluzione urbanistica della Parigi di Napoleone III (1850-1870). Fu l’ipotesi che prevalse a Messina.
  A Reggio risultò invece preponderante l’altra opzione di confermare l’impianto urbanistico di Mori apportandovi soltanto alcune modifiche.  Pietro De Nava lo rispettò nelle sue linee essenziali, salvaguardando la continuità e perpetuando il senso di identità e appartenenza.  Il suo piano fu sorretto a Roma dal deputato Giuseppe De Nava (personalità di spicco che fu anche l’unico ministro reggino dopo l’Unità) e a livello comunale da Giuseppe Valentino (dapprima Assessore ai Lavori pubblici e poi Sindaco).
  Venne respinta la proposta di abbattimento dei pochi palazzi rimasti in piedi per allargare il Corso e confermata la dimensione del bel salotto settecentesco ideato da Mori. Si diffuse per decenni la tesi che per colpa di 3 famiglie (proprietarie dei Palazzi Melissari-Nesci, Benassai e Vitrioli) il Corso non fu allargato. Prevalse, a mio avviso,  la soluzione più saggia. Per tre solide ragioni: 1. Perché quei palazzi erano rimasti in piedi? Perché nella loro costruzione avevano rispettato alla lettera le rigide norme anti-sismiche emanate da Mori, ispirate al primo esempio in Europa e nel mondo di una legislazione anti-sismica, varata dopo il 1783 dal governo borbonico di Napoli. Per seguire quelle norme le famiglie si erano sottoposte a spese notevoli, tant’è vero che i Melissari si erano coperti talmente di debiti da vendere il proprio Palazzo alla famiglia Nesci. Non sarebbe stato giusto che pagassero con l’abbattimento il rispetto delle norme; 2. gli altri Palazzi del Corso erano invece crollati perché avevano subito profonde modifiche (come troppe sopra-elevazioni) o erano stati edificati senza seguire alcuna norma. Infatti nel 1861 Cavour aveva cancellato tutte le legislazioni degli altri Ex-Stati pre-unitari per imporre lo Statuto Albertino e le norme e istituzioni vigenti nello Stato dei Savoia. Il Regno di Sardegna era sprovvisto di norme anti-sismiche e la legislazione rimase lacunosa sino alla catastrofe di Reggio e Messina, che costrinse il Governo a emanare severe norme anti-sismiche che in buona parte vennero copiate da quelle borboniche. Naturalmente si fece di tutto per non evidenziare tale aspetto, visto che la propaganda post-unitaria aveva descritto lo Stato dei napoletanissimi Borbone come un “Regno straniero del male”; 3. la scelta di mantenere la dimensione del vecchio “Stradone” di Mori, prolungandolo sino al percorso attuale da Piazza De Nava al Ponte Calopinace, si rivelò alla distanza felicissima. Il Corso costituisce tuttora il “cuore pulsante” della città, un salotto elegante ed affascinante, uno dei due elementi principali di “identità” di Reggio assieme alla via Marina.
  Il cambiamento più rilevante fu anch’esso in positivo e riguardò proprio la settecentesca Via Marina: il raddoppio dell’arteria con lo spostamento a monte della linea degli edifici; la creazione di una fascia verde che divenne uno stupendo orto botanico con specie di tutti i continenti attecchite senza problemi nella Città del Bergamotto (Principe mondiale degli Agrumi nato nei giardini di Reggio); una seconda carreggiata con una stupenda ringhiera che fungeva da balcone sullo scenario unico dello Stretto.
  Ricordo due retroscena di quella storica modifica che ha contribuito allora a generare il “chilometro più bello d’Italia”; e a gettare le basi del “più bel chilometro del mondo” dopo l’intubamento della Ferrovia e l’ulteriore apertura verso il Mare della fine del ‘900 nella Primavera del Sindaco Italo Falcomatà.
  Il primo riguarda la scelta vincente di spostare a monte la vecchia linea della “Palazzina” neo-classica di Mori, devastata dal maremoto che dopo mezz’ora diede il colpo definitivo agli edifici già abbattuti dal terremoto nella tragica alba del 28 dicembre 1908. Il via alla modifica lo diede la scoperta tra le macerie della “Palazzina” delle Mura greche del IV sec. aC da parte del grande archeologo trentino Paolo Orsi. Dal 1907 al 1926 fu il primo Soprintendente Archeologico di Calabria e Lucania (con sede a Reggio) e fu tra l’altro promotore durante il suo mandato dello splendido Museo della Magna Grecia, casa dei Bronzi di Riace e di Porticello, che oggi è un’altra eccellenza mondiale di Reggio. 
 Orsi fece presente a Giuseppe Valentino e Pietro De Nava che sarebbe stato un peccato sotterrare sotto nuovi edifici le Mura Greche e nella stessa linea le Terme Romane scoperte verso la fine dell’800. Si trattava di due grandi risorse della memoria storica reggina da salvaguardare. Valentino era esponente di una delle famiglie della borghesia  protagoniste del successo mondiale del Bergamotto di Reggio Calabria. Ed era incaricato dei rapporti con la città provenzale di Grasse, celebre come la Città dei Profumi. Si ricordò della Promenade des Anglais di Nizza, da cui raggiungeva Grasse per vendere la preziosa essenza (DOP dal 2001). Decise quindi assieme a Pietro De Nava di spostare a monte la linea degli edifici e di creare - nella stessa area in cui erano presenti le Mura Greche e le Terme Romane – un grande orto botanico che avrebbe simbolicamente ospitato piante di tutti i continenti in omaggio al mondo che aveva portato soccorso e solidarietà alla Città distrutta dal sisma.
  Il secondo retroscena di questa lieta vicenda rappresenta una mia ipotesi storiografica, fondata non su documenti ma su alcune coincidenze logiche. E’ noto che, grazie anche alle pressioni esercitate dall’on. Giuseppe De Nava - il più importante esponente politico reggino di livello nazionale dal 1861 ad oggi - a Reggio vennero inviati dopo il terremoto funzionari di alto profilo professionale. Tra essi due svolsero un ruolo fondamentale nella ricostruzione della Città “Bella e gentile”: l’ing. Gino Zani di San Marino e l’architetto Camillo Autore di Palermo.
  All’architetto Autore venne affidata da Valentino la progettazione e realizzazione della fascia verde che divise le due vie, battezzate allora dal popolo come Via Marina Alta e Via Marina Bassa. Un capolavoro che incluse piante di tutti i continenti, dal Pino norvegese a vari tipi di palme, dall’eucalipto sino al vero Re che lo caratterizza: lo stupendo Ficus Magnolioides. Mi sono chiesto perché Reggio sia la città europea dove di questo albero (le cui radici si espandono in maniera massiccia e le cui liane si trasformano in tronchi appena toccano terra facendo da supporto ai suoi possenti rami) ci sono gli esemplari più numerosi (28). La risposta l’ho trovata quando sono risalito al suo ingresso in Europa: è stato importato dall'Australia nel 1845 dall'allora Direttore dell'Orto Botanico di Palermo. Oggi l'esemplare che venne piantato in quell'anno ha assunto dimensioni gigantesche e risulta il più antico e grande nel nostro continente. Ne ho arguito che tra i tanti meriti di Camillo Autore possiamo annoverare anche l’introduzione, ispirata dall’Orto Botanico della sua Palermo, di tanti esemplari di questo magnifico albero australiano nella nuova Via Marina. Ha così contribuito a migliorarne il fascino, già senza limiti grazie all’incomparabile scenario dell’Etna,  dei Monti Peloritani e del mare del mitico Stretto di Scilla e Cariddi.
*Storico, Docente Universitario di Storia
 NB: L’articolo è stato pubblicato contemporaneamente da Calabria.live e dal Blog “Pasquale Amato Storico”  

Tag: ricostruzione di reggio dopo terremoto 1908