Pasquale Amato: "U STRITTU RI CRAPARI". UN PEZZO DI MONDO ANTICO NEL CUORE DI REGGIO CALABRIA E LA BOTTEGA-BAZAR DI DON NINO VERSACE
Nei primi venti anni della mia vita abitavamo in una vecchia casa di un piano post-terremoto nella parte finale di Via Cardinale Portanova vicino all'incrocio col Viale Amendola in cui si svolge ogni anno la cerimonia della consegna del quadro della Madonna della Consolazione dai monaci dell'Eremo all'Arcivescovo Metropolita di Reggio-Bova. Accanto a noi abitava la Famiglia Borrello che aveva il forno, ancora esistente, in Viale Amendola, di fronte a Piazza del Popolo. Oggi quella casa non esiste più. E' stata sostituita da un palazzo moderno e anonimo.
A cento metri più giù si apriva un vicolo solo pedonale che tutti conoscevamo come "Strittu ri crapari" (Stretto dei caprai). Prendeva il nome dalla presenza di alcune stalle di pastori con le loro greggi di pecore e capre. Avevamo quindi il latte fresco a portata di mano. La sera lasciavamo la bottiglia di vetro da un litro (ben lavata e asciugata e chiusa con tappo di sughero) davanti all'uscio di casa, cui si accedeva da una piccola scala di pietra che dava su una mini-veranda rustica, anch'essa di calce e pietra. Nelle prime ore del mattino il pastore, mentre portava al pascolo il suo gregge salendo verso la collina dell'Eremo, sostituiva la bottiglia vuota con una bottiglia di vetro eguale con il latte di capra appena munto. La mia prima colazione sino all'inizio degli Anni Sessanta ha avuto quindi come base questo eccezionale alimento. Solo di recente ho recuperato l'uso del latte di capra con il suo particolare gusto di selvatico, anche se modificato dalla lavorazione industriale.
Dall'asilo alla terza elementare ho frequentato l'Istituto Pio X (la bella costruzione dove da alcuni anni, dopo l'abbandono delle Suore, è ubicato il Conservatorio Musicale Cilea). E mi veniva comodo raggiungere a piedi la scuola e tornare percorrendo l'irregolare acciottolato dello Stretto. In autunno e inverno ero particolarmente felice di attraversarlo nei giorni di pioggia perché vivevo una specie di avventura dal vago sapore fiabesco. Quel pezzo di vita rurale sopravvissuto al terremoto del 1908 e incastonato nel cuore del centro urbano (a poche centinaia di metri da Piazza De Nava e dal Museo Archeologico della Magna Grecia) alimentava le fantasie di me bambino che - pur vivendo in città - immaginavo in quel vicolo stretto e buio la dimensione agreste con relative imprese eroiche. Sogni resi ancora più palpabili quando incrociavo il mio cammino con un pastore e il suo gregge.
Nello Stretto dei caprai c'erano anche altri luoghi importanti per la vita del Rione Tremulini e della città in generale. Mi soffermo in particolare su due di essi:
1. la casa, ancora oggi esistente nella residua parte iniziale del vicolo (il resto è scomparso, sostituito, come nella Via Gluck di Celentano, da nuovi palazzi), del popolare poeta dialettale Ciccio Errigo, rivale storico del mitico Nicola Giunta. Erano come Coppi e Bartali nella Reggio di quegli Anni Cinquanta e primi Anni Sessanta;
2. la bottega-bazar di un altro personaggio benvoluto da tutti: il sig. Nino Versace, che era sceso giovane in città da Santo Stefano d'Aspromonte e aveva aperto quella piccola bottega per vendere il carbone proveniente dai boschi della montagna reggina. Poi aveva affiancato al carbone le cucine e le bombole di gas, i primi televisori, e via via gli altri elettrodomestici che videro la luce in quegli anni molto duri ma fortemente creativi del secondo dopoguerra. Per andare incontro all'economia povera di tante famiglie del Rione Don Nino si era inventato la vendita con rate popolarissime, di cui era lui stesso l'esattore ogni fine mese passando casa per casa e segnando la rata con una X in un cartoncino stampato per ogni cliente. Se in un fine mese vi erano difficoltà nel pagamento da parte di qualcuno, l'esattore-amico Don Nino lo tranquillizzava: "non vi preoccupate. Questa rata la saltiamo e ci vediamo il prossimo mese" . Consentì così alle famiglie dei quartieri Nord della città (allargando le vendite a San Brunello e a Santa Caterina) di accedere ai nuovi elettrodomestici che cambiarono la vita collettiva degli italiani anticipando e poi caratterizzando il boom degli Anni Sessanta.
E se una famiglia aveva bisogno urgente di una bombola di gas anche fuori orario o in giorno festivo il sig. Versace andava a consegnarla personalmente con la sua vecchia Fiat. L'ultimo mio incontro con lui fu diversi anni dopo nell'ex-quartiere della case basse di San Brunello (oggi sostituite da nuovi palazzi) dove alla mia famiglia era stato assegnato un alloggio in un edificio dell'IACP. Si fermò per salutarmi abbassando il finestrino. Gli chiesi: "Sig. Versace. Voi qui? Ma non avevate chiuso l'attività e vi eravate trasferito nella lussuosa Villa che vostro figlio ha acquistato sul lago di Como?". Mi rispose col suo immancabile mezzo sorriso: "In verità avevo solo abbassato la saracinesca per provare se resistevo al ritiro dall'attività per cui avevano tanto insistito i miei figli. Ma dopo un mese di lunghe e monotone passeggiate sul lungolago non ho resistito alla voglia di riprendere il lavoro nella mia bottega. E sono tornato rialzando la saracinesca". Ed io: "Ma oggi è sabato pomeriggio. Che ci fate nel quartiere?" E lui, confermando il tratto di umanità che lo aveva sempre contraddistinto, mi spiegò che una famiglia aveva esaurito la bombola del gas. Seppure avanti con gli anni, non aveva saputo dire di no ed aveva imbarcato personalmente sulla vecchia auto da lavoro la bombola nuova perché di sabato pomeriggio il suo collaboratore era libero. Ci salutammo dopo la sua frase che mi è rimasta scolpita nella mente come un ricordo indelebile accompagnato da un filo di emozione: "Potevo lasciare questa famiglia senza il piacere del pranzo della domenica con il ragù e le polpette?".
Per chi non lo sapesse sto parlando di un personaggio che è stato il padre di uno dei più grandi stilisti che hanno reso famoso il "made in Italy" nel mondo: Gianni Versace di Reggio Calabria. Sino a pochi mesi prima del decesso continuò a tenere aperto il suo emporio, perseverando nel rifiutare l'offerta di trasferirsi nella sontuosa Villa sul lago di Como che il figlio famoso aveva acquistato.
Peccato che siamo in un paese che non apprezza ma nasconde storie come questa. Negli Stati Uniti su questa storia esemplare e ricca di umanità di Don Nino Versace avrebbero scritto un libro e girato un film, riscuotendo un sicuro successo. Ma alcuni segnali recenti mi spingono a pensare che il figlio maggiore Santo, il più legato al padre e a Reggio, stia maturando un'idea connessa strettamente a una sua nuova attività di produttore cinematografico. Costituirebbe un riscatto della bella storia di Don Nino Versace e della vita di Reggio negli Anni Quaranta-Sessanta.
NB: Ringrazio il Sig. Tommaso Malavenda per aver gentilmente fornito queste foto rare del suo Archivio. Sono state determinanti per dare un'idea dell'ambiente descritto.
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